Confusione

Non so bene dove mi trovo, forse al lavoro,sto’ uscendo da un giardino. ci sono come delle bomboniere con dei confetti appesi al cancello, ne prendo una.sono strane una specie di sacchetto di pelle.Poi vedo una signora con un bimbo in braccio, lo accarezzo. c è una mia collega mi segue è vestita piu’ moderna di come si veste in realta’.

Cambia scena:ora sto’ parlando con un paziente, U.cerco di convincerlo a tornare prima dalle vacanze, sta’ fumando( all’ interno del centro)cosa stranissima nella realta’ non fuma.

cambia dinuovo scena, sono a casa, ma non non so quale,parlo al telefono con una collega, c è una confusione pazzesca, non sento nulla, sono i miei parenti che fanno casino, gli dico di abbassare la voce, poi chiudo.

Parlo con mio padre,gli dico perchè deve sempre svalutare la mia seconda madre per tessere le lodi della prima, non possono essere le persone semplicemente diverse.

 

Attacco mafioso

Sono a C., mi sembra con mio padre che però è in sottofondo. Voglio acquistare una casa nuova, oppure aggiungere una parte nuova a quella già esistente; infatti scopro un terrazzo che non conoscevo, privo di parapetto su uno o due lati, confinante col giardino pensile di vicini simpatici. Procedo all’acquisto, ma a questo punto compare un boss locale con ricatti e minacce, non vuole che mio padre ne faccia una casa per anziani perché danneggia i suoi interessi mafiosi. Ribatto e lo contrasto con tutte le mie forze, anche se fatico a parlare e la voce mi si strozza in gola. Gli chiedo come si chiama, risponde: “Silenzio senza parole”; vorrebbe darmi la mano, me le porge entrambe, ma io mi sottraggo e le rifiuto. Mi sento serena per non aver ceduto al mafioso, anche se temo che faccia qualche attentato alla casa. Lo vedo andar via, è un personaggio grottesco, quasi ridicolo, con un lungo mantello di piume multicolori, una specie di boss da operetta.

Ex cameriere e padre di famiglia

Sono in un ristorante. Capisco nel sogno che è un ristorante nel quale ho lavorato in passato (non ho mai fatto il cameriere). Ci sono molti clienti e vedo i miei ex-colleghi barcamenarsi con difficoltà tra le mille cose da fare. Decido allora di dare una mano e mi dirigo verso un tavolo dove un cliente, del tutto simile a mio padre da giovane, mi chiede delle posate pulite. Al suo fianco un ragazzino antipatico e con la puzza sotto il naso rinnova l’invito del padre a portare in fretta le posate. Entro nelle cucine e tento di recuperare velocemente un po’ di posate, ma nella confusione generale non riesco a concludere assolutamente nulla. Penso che forse ormai non sia neanche il caso di tornare al tavolo visto il tempo trascorso dalla richiesta. Immagino che il cliente possa aver chiesto aiuto ad un altro cameriere ed aver quindi già ottenuto le posate pulite.

Decido quindi di uscire dal ristorante. Mi trovo così in una piazza di un paesino. La piazza sembra una pista di un trenino da Luna Park e, allo stesso tempo, il giardino dell’asilo nido dove lavorava mia madre quando ero piccolo.

Tra la gente, vicino ad alcune bancarelle, intravedo il mio cane. Gli faccio un po’ di coccole parlandogli dolcemente e stupendomi della sua adeguatezza nel rimanere a lungo da solo in un contesto del genere.

Dall’altra parte della piazza c’è un bambino. E’ mio figlio. Ha circa tre anni e sta cercando di farsi accettare da un gruppo di bambini, desideroso di giocare con loro a guardia e ladri.

Il leader del gruppo sembra non gradire la sua presenza. Mio figlio viene spintonato e cade a terra. Gli dico di non piangere e di trovare una soluzione alla questione senza far vedere che è così intimorito dalle circostanze. Dopo avergli dato il consiglio mi pento immediatamente pensando che debba essere lui, secondo il proprio carattere, a trovare una soluzione alla difficile situazione. Attraverso questo mio intervento, penso, rischio di trasferire su di lui i miei problemi senza permettergli di sperimentare le proprie potenzialità, le proprie debolezze e le poprie capacità.

Dopo pochi secondi mi accorgo che il leader del gruppo sta ridendo a crepapelle a causa di una battuta di mio figlio.

L’intero gruppo ormai ha accettato mio figlio. I bambini ora corrono in cerchio e si inseguono per la piazza divertendosi e chiamandosi per nome.

Serial dream

Attentati alla vitalità

 
1) Sono in viaggio con i miei genitori. Prima guida mio padre, poi mia madre, alla fine decido di guidare io. A questo punto un agente di polizia mi ferma e mi contesta qualcosa di irregolare. Mi accorgo che non è molto lucido, protesto e rivendico il mio diritto a guidare. Non ricordo l’esito della discussione.
2) Faccio un esame, un concorso, per un nuovo lavoro. Mi bocciano.
3) Vado ad abitare in una bellissima casa nuova, grande, luminosa, con vista e accesso diretto sul mare. Sono molto contrariata perché mia madre ha insediato lì una donna dall’aria zitellesca, che mi ricorda la mia maestra delle elementari, bigotta e bacchettona, e non so come fare per liberarmene.

Foto ricordo e autoerotismo

Sono nel giardino della casa in Toscana, sono appena arrivato e mi metto subito a sistemare un fazzoletto di terra che sta prima del ponticello, infestato da ortica e altre piantacce. Sradica qua, sradica la, il mio operato porta alla luce delle piccole uova decorate e alcuni ovetti Kinder…

Capisco subito che mio padre li ha nascosti li, sotto le erbacce, per poi poter fare una sorpresa quindi mi affretto a ri-piantare le erbacce, compresa l’ortica che pero’ non punge, affinche’ la sorpresa non venga rovinata.

Più in là nel tempo incontro mio padre, sempre nel giardino, che mi confessa di aver nascosto le uova e, dopo avergli raccontato la mia “scoperta”, ridiamo indicando le erbacce.

Mi ritrovo in una sorta di centro commerciale, alla mia sinistra una scalinata, per terra moquette forse blu, di fronte a me un uomo pelato con andatura frettolosa mi raggiunge. Lo guardo bene e riconosco in lui Patrick Stewart, l’attore che impersonifica Jean-Luc Picard, il comandante dell’Enterprise in Star Trek TNG.

Eccitato dal fatto cerco di fermarlo e gli chiedo se ci possiamo fare una foto insieme, un po’ a gesti, un po’ a parole. Lui dapprima dice di no, poi gli faccio capire che mi accontento di una sola piccola foto. Accetta, si ferma ma mantiene la frettolosità, io intanto mi rendo conto di non avere né un cellulare né tanto meno una macchinetta fotografica e allora, mentre ci mettiamo in posa, cerco, con lo sguardo e anche con la voce, qualcuno che possa immortalare questo evento.

Nel mentre noto sul viso dell’attore, poco sotto il labbro inferiore, una macchia rossa che si protrae fino al busto (probabilmente il ricordo della sua divisa da capitano elaborato male) e mi preoccupo del fatto che chi vedrà la foto riderà di questa cosa… Inoltre rimugino sul fatto che me lo aspettavo più alto.

E’ ora di andare via dal “centro commerciale” ma la mia attenzione viene catturata da una videoteca posta in cima ad una balconata. Decido di visitarla.

Arrivo in prossimità della videoteca ma invece di salire verso la balconata devo scendere delle scale mobili di colore giallo chiaro molto lunghe. Le imbocco senza indugio ma mi pento quasi subito quando, arrivando verso la fine, noto che lo spazio tra la mia testa e il soffitto diventa sempre piu piccolo. In effetti le scale mobili non mantengono la stessa distanza dal soffitto per tutta la loro lunghezza e arrivato alla fine del percorso devo letteralmente sdraiarmi sulle scale per non fare la fine del sorcio.

Riesco, con molta paura e fatica, ad arrivare dove dovrebbero esserci i film in noleggio ma al posto degli scaffali trovo delle salette con delle tende blu dove probabilmente vengono proiettati i film. Ci rimango poco anche perche’ l’aria condizionata e’ a palla e sto morendo di freddo, decido quindi di risalire dall’altra parte.

La risalita e’ molto meno difficoltosa. Alla fine delle scale vendono delle piante molto particolari, tropicali oserei dire. Piove.

Mi ritrovo nello stesso punto in cui ho incontrato Patrick Stewart ma questa volta sono all’esterno. Sono eccitato e mi apparto in un bagno pubblico giapponese.  Una volta entrato mi assicuro che la porta sia chiusa, mi avvicino allo specchio che pero’ e’ una finestra dalla quale si dovrebbe vedere la piscina. Mi affaccio ma noto che la piscina si trova svariati piani sotto quello del bagno e per riuscire a vederla mi devo sporgere un bel po’. Sul muro di fronte posso vedere le finestre di altri appartamenti. Mi ritiro dentro pensando a come si viva male in Giappone…

Mi siedo sul bordo della vasca da bagno e inizio a praticare dell’autoerotismo con la bocca, con piacere ma sprattutto con grande stupore… Dopo un po’ noto con la coda dell’occhio degli insettini che razzolano per il bagno. Li noto anche sul lavandino, sullo specchio e in poco tempo mi rendo conto che sto bagno fa veramente schifo.

Esco e mi ritrovo vestito solo dei miei boxer rossi con i pesciolini seduto alla scrivania di casa che pero’ e’ posizionata di fronte alla testata del letto. Sento aprire la porta d’ingresso. E’ F. che ritorna e mi dice che sta con M. (nella realta’ una mia collega che non conosce) e mi prende un colpo perche’ sto in mutande.

Arrivano nella stanza dove mi trovo ma la scrivania si e’ trasformata nel letto e non mi preoccupo piu di farmi vedere in boxer dalla mia collega poiche’ sono coperto dal piumone. M. fa i complimenti per l’arredamento.

Tutti al mare!

Sono a C., con mio padre, mia madre e mia nonna. Siamo venuti per vendere la casa al mare, ma io ci ripenso; sembra piccola e un po’ fatiscente però, riguardandola bene, non è poi tanto piccola e si può rendere più confortevole. Posso andarci in estate e in qualche week end, perché rinunciarci? L’unico problema è che ci va anche Stella (la signora che mi aiuta in casa), ma possiamo accordarci sui periodi in cui andare e dividerceli. Mio padre propone di ampliare la casa incorporando un piano superiore, una specie di loggiato, che è rimasto libero perché vi è avvenuto un omicidio. Io rifiuto decisamente, non voglio la casa dell’omicida! Mia madre comincia a parlare e dice che aspetta la prossima morte di mia nonna per potersi sentire finalmente libera e fare qualche viaggio, anche in terre lontane.

Non so come finisce, perché suona la sveglia…

Ancora in viaggio

Sono con F., passeggiamo di notte in una specie di giardino o vivaio pieno di piante, anche di alto fusto. Fra noi c’è un rapporto affettuoso. Dobbiamo partire: verso Civitavecchia (per me legata alla mia prima infanzia, alla famiglia di origine e, negli ultimi tempi, in particolare a mio padre), oppure verso Rieti (città di un mio ex fidanzato col quale avevo fatto fantasie di matrimonio e che ho sempre sentito contrapposto a mio padre).

Usciamo dal giardino e ci avviciniamo alla macchina, è la vecchia Lancia Dedra di mio padre (la prima su cui mi ha permesso di mettere le mani, era molto geloso delle sue macchine, e lo sentii come un primo segnale del suo invecchiare).
A questo punto c’è una controversia su chi deve guidare: vuole farlo mio padre, ma io non mi fido della sua guida, è troppo vecchio; alla fine raggiungiamo una mediazione, lui guiderà all’andata (e in effetti lo fa con una certa perizia), ma io guiderò al ritorno. Partiamo, io, F. e mio padre: peccato che non sappia per dove!

Affollamento

Sono nella mia casa in montagna dove c’è anche il mio studio, vivo lì. I muri sono un pò cadenti e mi rendo conto di dover ritinteggiare il soggiorno. c’è anche un buco nell’intonaco che fa intravedere dei mattoni. E’ un pomeriggio di lavoro. Poi mi affaccio alla finestra e vedo M., il custode della casa in campagna, ci sono moltissimi cani e penso che dovrò fare qualcosa perchè continuano a proliferare e non so più dove mettere i cuccioli. Poi arriva Cesidio, il mio vecchio istruttore di equitazione e mi dice che dovrei riprendere. mi propone il lunedì ed il martedì pomeriggio, magari intorno alle 18; gli dico che l’idea mi piace molto ma dentro di me so che alla fine non  riuscirò ad andare. Sono sempre troppo stanca quando finisco di lavorare. Poi vado con mio marito al porto del paese (anche se nella realtà ovviamente non c’è) dove ho un altro studio. Lui mi dice che adesso sarebbe andato a farsi un tatuaggio; vediamo insieme una barca con l’isegna “tu” che è un laboratorio dove si fanno i tatuaggi. io nel frattempo vado nel mio studio. E’ pieno di genitori, di gente e bambini e penso che non riuscirò a vederli tutti. Sono stanca. Entro nella mia stanza ma c’è una tirocinante, già il paziente ed altre persone. tento di fare il mio lavoro non curandomi di questa invasione ma è difficile. Poi bussano alla porta ed è il padre di un’altra paziente che mi dice che mi ha portato un pensiero per Pasqua. Gli dico che sto lavorando e che questa non è la sua ora, lui mi dice che va bene ma nel frattempo si siede. Continuo con S. ma poi mi accorgo che questo signore non è uscito, così lo ringrazio di nuovo ma gli ripeto di andarsene e così per altre due volte. Alla fine lo trascino via di forza dalla stanza mentre la rabbia mi assale.