Il gatto bambina

Passeggio nella piazza di un paesello non ben identificato quando scorgo un gattino minuscolo che dorme beato ai piedi delle scalette di una casa. È leggermente striato, di un bel mix si colori molto chiari tendenti all’acquamarina… Mi assale una voglia incontrollata di accarezzarlo e coccolarlo ma quando vado per prenderlo il gattino ai dimena e cerca di scappare. Gli dico di non scappare perchè voglio fargli solo tante coccole. Lo riprendo più e più volte fino a che non lo afferro saldamente e me lo porto in braccio. Inizio ad accarezzarlo sulla pancia e sotto il mento e a lui piace. Dopo poco noto che ha preso le sembianze e dimensioni di una bambina di circa cinque anni. Ha un viso bellissimo e degli occhi splendidi dello stesso colore che aveva il pelo del gatto. Le dico che è molto bella e, mentre la poggio a terra, che lo sarà ancora di più quando tornerò a trovarla tra quattro o cinque mesi.
Cambio di scena e mi ritrovo sul marciapiede di una città qualsiasi. Sono di fronte a un locale forse in attesa di entrare. Arriva una ragazza che forse conosco. Non mi nota e decido di stringerle il braccio affinchè mi veda. Si gira, è F.F., ma rispetto alla realtà è molto più alta e snella. Indossa un cappottone nero e ha i capelli lunghi, lisci e castani. Ci salutiamo. Mi giro verso l’altro lato della strada, guardo verso una sorta di macelleria, so che F.L. è andata a comprare la carne.
Mi ritrovo sullo stesso marciapiede ma poco più in là del locale, accanto ad un alberello. Con me ora c’è F.L.. Le racconto di aver sognato il gattino di cui sopra, dicendole anche di aver appreso, nel sogno appena fatto, che il termine “barboncino” in origine era stato coniato per i gatti.

Profumo di donna e parassiti sottocutanei

Sono ad un pranzo insieme a molte altre persone. I tavoli sono quelli che si potrebbero trovare ad una sagra e sono disposti un po’ alla rinfusa.
Siedo accanto ad una ragazza mora vestita di nero. So bene chi sia anche se nel sogno la somiglianza non è del tutto fedele. Mi avvicino al suo collo ripetutamente e in maniera furtiva per annusarne il profumo. Dopo aver rubato per due o tre volte la dolce essenza dal suo collo, noto un’altra ragazza vestita completamente di bianco, mora anch’essa, dall’altro lato del tavolo, che mi fulmina con lo sguardo e mi manda a quel paese mimando un vaffa con la bocca.
In quel momento mi ritrovo seduto a capotavola, con la testa abbassata, rivolta verso il pavimento. Accavallo la gamba sinistra sulla destra e noto un piccolissimo puntino di grasso sulla caviglia. Inizio a grattarlo con l’unghia del dito indice della mano destra per cercare di asportarlo ma più gratto, più il puntino diventa grande… E quando ha raggiunto le dimensioni di qualche millimetro, inizia a muoversi, proprio come farebbe un piccolo vermetto bianco. Rendendomi conto di cosa stavo ospitando sotto la pelle della mia caviglia, afferro con le dita la piccola sporgenza bianca e soda e tiro con decisione, ritrovandomi in mano un verme di qualche centimetro. Sorprendentemente non sento alcun fastidio o dolore e la cosa mi rincuora anche perchè quando osservo meglio il buco lasciato dal verme noto che dentro ce ne sono altri più o meno lunghi. Ne afferro un altro e lo tiro fuori. E poi un altro ancora, e ancora. Nella mano ormai ho cinque o sei vermi di varie grandezze e sulla caviglia un buco di qualche centimetro, senza più parassiti al suo interno. Non noto molto sangue.
Mi alzo dal tavolo e cerco di svicolare tra gli altri, perdendo l’equilibrio un paio di volte. Ho ancora i vermi in mano, devo farli vedere a mia madre, l’unica persona che ho in mente che possa darmi consigli sul da farsi. Mi rendo conto subito dopo che non c’è più ma la cosa non mi butta giù più di tanto e penso che sono grande abbastanza per cavarmela da solo.
Esco di scena, ho in mano un filetto di pesce la cui consistenza della carne somiglia molto a quella dello sgombro in scatola. Lo sto ispezionando in cerca di altri vermi.

Spaventato a morte

Sono in una cucina di una non ben identificata caserma militare e ci sono delle belle ragazze vestite di sole mutande nere. In seguito a quella che mi è sembrata una piccola esplosione una di loro viene scaraventata dall’altra parte della cucina andando a finire su una macchina a gas. Batte la testa sul muro ricoperto di piastrelle bianche e inizia ad avere dei tremori molto forti.

Da quello che posso apprendere come osservatore degli eventi i militari presenti nella caserma tentano di coprire l’accaduto cercando di eliminare la ragazza infortunata. Al successivo cambio di scena mi ritrovo, sempre come osservatore, in una stanza che può sembrare un magazzino vista la quantità di oggetti accatastati intorno a me. Nell’aria una canzone in perfetto stile italiano intonata da uno dei militari presenti nella stanza. Intuisco che le parole originali sono state alterate assumendo un tono di  inquietante scherno rivolto alla ragazza rinchiusa in un telo di plastica trasparente, su un  tavolo al centro della stanza. Tutto è illuminato da un cono di luce giallastra. La ragazza si dimena e maledice il militare canterino che rimane impassibile allo spettacolo di sofferenza della vittima.

Il successivo cambio di scena mi vede ancora come osservatore. Sono in una sorta di spogliatoio. Di fronte ad una fila di armadietti c’è il militare canterino. Sembra disorientato e spaventato da una qualche presenza che lo tormenta. Nel momento in cui si gira dalla parte opposta in cui stava guardando scorge la ragazza che aveva ucciso poco prima ed è in quel momento che prendo le sue parti e da osservatore divento protagonista della parte più spaventosa del sogno. La ragazza mi prende per la camicia e mi sbatte su un lettino iniziando ad imprecare cose non ben distinguibili fino a quando il suo viso, avvicinandosi sempre di più al mio, inizia a deformarsi. La sua bocca si allarga in maniera inverosimile e il suo interno è tutto nero. Più la trasformazione diventa orribile più le sue urla diventano forti e aggressive. Io vengo pervaso da una serie di brividi sempre più forti fino a quando uno di un’intensità mai provata mi colpisce al petto lasciandomi senza vita.

Baci e pratiche

Sono in una cucina grigia ad U in un appartamento un po’ buio insieme a L.S. a cui sto parlando di un infuso molto buono. Le mostro la confezione e per farlo mi avvicino. In pochi secondi siamo così vicini che iniziamo a baciarci appassionatamente.

Mi ritrovo, aihmè, nell’ascensore dell’uffico con in braccio una cofana di pratiche verdognole/azzurrine. Arrivato al piano terra noto che il collega A.V. blocca inavvertitamente la porta dal di fuori con il proprio corpo. È vestito tutto di bianco. Dopo un mio amichevole “ao” si sposta permettendomi di uscire, seppure a fatica, dall’ascensore.

Una volta fuori arrivo in uno stanzone con molti altri colleghi (di cui la maggiorparte sconosciuta) disposti tra scrivanie e mobili di un bel legno scuro in uno stile molto più vicino a quello di una casa piuttosto che a quello di un ufficio. Mi avvicino ad un paio di scrivanie e lancio una matita verso una di esse. La matita invece di cadere e rimanere, bene o male, sulla scrivania dove l’ho lanciata, inizia a rimbalzare e roteare fino a raggiungere l’altra scrivania che tra l’altro neanche confina con la prima. Faccio notare l’assurdo percorso della matita agli altri colleghi (che in realtà sono colleghe) ma nessuno mi presta attenzione.

Mi giro verso sinistra e vedo E.M., una vecchia compagna della comitiva sotto casa ai tempi delle superiori. La prendo in disparte e le chiedo se ha notato la mia richiesta di amicizia che le ho mandato su Facebook (richiesta che ho veramente inoltrato) ma lei dice di no e io mi rendo conto che lei non è un’assidua frequentatice del social network in questione. Lei cita il testo di una canzone che conosco e allora le chiedo se le piace Dieci (nel sogno è il cognome del cantante ma in realtà ci riferiamo a Moltheni). Mi risponde di sì e mi nomina altri titoli di sue canzoni di cui molti non esistenti descrivendo brevemente la sua preferenza per quella intitolata “Gli anni del malto”. Le dico che sono andato a vederlo a Bergamo in concerto a Marzo o Maggio (o in un altro mese che non esiste). In questo frangente E.M. è diventata una mia compagna delle elementari. Una collega che sta lí vicino a noi inizia a parlare del canante e io la fulmino dicedole con tono scherzoso “Non mi toccare Dieci eh!” aggiungendo poi un bel “Sto scherzando”.

A.

Sono nella casa dove abitavo prima, mi sono addormentata in camera d’ un amica, mi sveglio sistemo il letto. Mi squilla il telefono, è mio zio, mi dice è venuto a mancare……., casca la linea.

Dopo un po’ squilla dinuovo, mi dice è venuto a mancare A., sento un dolore fortissimo, come se stessi morendo.Penso ora come faro’, lo penso intensamente, a tutti i momenti condivisi, poi mi sveglio è solo un sogno e sono felice.

Piera R.

Ci sono i miei, parlano tra loro, mio padre ha regalato un vestito a mia madre, ne stanno discutendo, circa i bottoni che hanno fatto cambiare.

Piera R., non so chi sia, è un personaggio del sogno, sta andando a cambiare di nuovo i bottoni, compare così d’ improvviso, è cieca.

Si mette in fila, presso il negozio per il cambio, ma non si rende conto, non vede che la fila è altrove.

Qualcuno si accorge, ma piuttosto che aiutarla, disegna su un muro, come una vignetta di sberleffo di ciò che sta accadendo.

Vorrei aiutarla ma non so come fare ad entrare nel sogno.