Vengo da Lecco!

Sono nella casa della mia infanzia. Sento dei rumori provenire dalla finestra del soggiorno.

Mi nascondo dietro ad una libreria di metallo. All’improvviso entra in casa dalla finestra aperta un ragazzo dai capelli rossi e dall’aria divertita e buffa.

Il ragazzo mi dice in tono scherzoso:

“Vengo da Lecco!”

Mi spavento e mi lancio contro di lui per cacciarlo. Lo spingo fuori dalla finestra e il ragazzo finge di cadere con un urlo che sembra simulato.

Nel sogno, ad un certo livello, capisco che il ragazzo sta fingendo perché sotto la finestra c’è un balcone o un cornicione che gli permetterà di non cadere.

Dopo pochi secondi il ragazzo torna con un salto giro dentro casa, passando nuovamente per la finestra.

“Vengo da Lecco!”

Io allora mi arrabbio e comincio ad urlare: “Cosa vuoi da me! Che ci fai in casa mia!

E lui mi risponde urlando: “La devi finire di preoccuparti in questo modo! Hai rotto le palle con questa questione dei soldi!”

Io gli rispondo urlando:” Ma come posso fare se non ne ho abbastanza! Eppure lavoro come un disperato! Io non ce la faccio più, non so come fare!”

Il ragazzo continua a rispondermi urlando con lo stesso mio tono: “Lo so! Ma alla fine ce la fai sempre! Ti sei sempre preoccupato e poi alla fine ce l’hai sempre fatta! E’ chiaro che la devi finire? Così finisci per non vivere più la tua vita a forza di preoccuparti! Ce la farai, chiaro?”

Nel sogno sento il piacere di poter finalmente urlare queste cose a qualcuno che mi capisce. Il ragazzo che viene da Lecco è arrabbiato perchè sa che io sto sprecando del tempo prezioso a lamentarmi di problemi per i quali, in fondo, avrei già le risposte.

 

Gli astronauti

E’ notte e sono in spiaggia con un po’ di gente, probabilmente davanti ad un falo’ perche gli ombrelloni e il bagnasciuga sono illuminati.

Ad un certo punto mentre fisso il cielo stellato, sulla sinistra vedo un puntino che si avvicina e si ingrandisce velocemente. Dopo poco riesco ad intravedere la sagoma di un astronauta che si sta per schiantare sulla spiaggia.

Va sempre piu veloce ed e’ sempre piu grande mano a mano che si avvicina e di colpo mi passa accanto e si schianta sulla sabbia.

Una ragazza mora va a soccorrerlo ma un secondo astronauta si schianta, come il primo, e la colpisce mentre e’ inginocchiata sull’altro. La scena suscita in me una certa ilarita’ ma non rido.

Il secondo astronauta ora e’ accanto a me, e’ mezzo mummificato e grigio di colore (tuta compresa). Mi guarda spaesato come se non riuscisse a capire dove fosse. Io mi giro verso di lui e con molta calma e naturalezza inizio a parlargli con un linguaggio inventato per fargli credere di essere capitato su un pianeta alieno ma il giochetto non lo diverte. In effetti si agita tantissimo e per calmarlo gli dico che stavo scherzando.

 

Mi giro verso la gente attorno al falo’ (che in realta’ non si vede mai). Arrivano tre tipi e io dico a bassa voce ad un tizio che mi sta vicino “E’ il passato che ritorna” volendolo intimidire, ma mi accorgo subito dopo che i tre tipi stanno li per me  perche’ sono io la causa del loro arresto tempo addietro.

La rapa giapponese

Sono in Giappone a trovare i proprietari del mio ristorante giapponese preferito. Stranamente il paese in cui abitano e’ molto somigliante ad uno di quelli che posso trovare in Toscana, dove ho casa. L’abitazione in effetti e’ in tufo e la veranda gode di uno splendido panorama sulle colline giappo-toscane verdi di primavera.

Mi reco all’alimentari con la moglie del signor Sasaki per fare la spesa e noto che anche questo locale e’ del tutto uguale al tipico alimentari di sotto casa che potrei trovare in Italia. Alte scaffalature si stagliano sulla parete dietro al bancone fino al soffito e migliaia di prodotti la colorano.Sacchi di iuta appoggiati per terra e teche di vetro su un parte del bancone.

Il gestore, un uomo alto in giacca e cravatta, parla italiano e mi da il pilotto da quando sono entrato. La mia accompagnatrice lo rimprovera amichevolmente e lui decide di mostrarmi qualche articolo.

Uno tra tanti attira maggiormente la mia attenzione, una rapa dalle dimensioni di una grande patata. La prendo in mano e la annuso per assaporare il suo famosissimo profumo che pero’ non sento. Nel frattempo il gestore mi mostra come tagliare un tubero nodoso che tiene in mano e io mi chiedo se mai esista un modo semplice di cucinare alla giapponese…

Usciti dal negozio per dirigerci verso casa mi accorgo che l’ambiente intorno a me assomiglia molto a P.zza Ragusa.

Arriviamo nella via di casa e la signora Sasaki ora e’ F.. Ci fermiamo alla macchina, poco prima della casa in tufo, e ci mettiamo ad urlare in napoletano verso una finestrella di un’abitazione.

Mi ritrovo di fronte alla casa dei Sasaki, sulla strada, osservo la veranda ed il magnifico scorcio verde e sconfinato dietro di essa.

La pecora rosa

Sono a al parco sotto casa ed un raggazzo che vedo quasi tutti i giorni mentre porta a spasso il suo cane mi mostra la sua invenzione. Mi spiega di essere diventato ricco grazie ad un disegno di una pecora rosa. Il disegno è piaciuto talmente tanto che è stato acquistato da una grande azienda per la realizzazione di un piccolo toy di plastica e lana.

Mi meraviglio della creatività del ragazzo mentre, contemporaneamente, sento crescere in me l’invidia per la sua nuova condizione economica. Nonostante gli ultimi eventi il ragazzo continua comunque a lavorare con il suo furgone e a consegnare prodotti in ospedali e ristornanti.

Ammiro la costanza di questa persona che, nonostante  il denaro guadagnato, continua a lavorare rimanendo un umile lavoratore ed un simpatico e modesto ragazzo sulla trentina.

Tempo

Sto pensando allo scorso inverno, alle cose che ho fatto. Ho paura di non fare nulla.

Allora penso a quando mi sono iscritta al corso di teatro, che mese era. Se sono ancora in tempo per fare delle cose

L’incendio, la casa di C. e l’unghia putrida della sorella

Sono in un cortile di una scuola. Ci sono molti tavoli in legno sui quali sono in vendita libri e giornali. Improvvisamente comincia ad andare a fuoco uno dei tavoli. Mi precipito a spegnere le fiamme che, nel frattempo, stanno divampando un po’ ovunque. Riesco ad arginare l’incendio per un po’ di tempo fino a quando, però, prende fuoco un cabinotto alle mie spalle coperto da un tetto in eternit. Sono preoccupato che il calore possa spezzare il tetto facendo uscire polveri cancerogene. Mi affretto ad utilizzare un tubo collegato ad un rubinetto. Lancio l’estremità del tubo nel gabbiotto prendendo poi un’altro tubo con il quale cerco di abbassare la temperatura della zona infuocata al fine di riuscire a spegnere l’incendo. Il mio tentativo risulta ben presto vano.

Decido di scappare e dico a B. di seguirmi per la scala antincendio.

Scendiamo verso il basso e, arrivati quasi ad un’uscita, mi accorgo di avere dimenticato il mio zaino ed il mio portafoglio dietro una porta di un’aula al piano superiore. Decido a malincuore di rinunciare a recuperare i miei oggetti facendo tesoro dei consigli che tempo fa ho avuto modo di udire durante un corso antincendio.

Io, B. e sua sorella ci dirigiamo verso la casa più vicina. Siamo nella zona di S.Pietro e ci dirigiamo verso casa di C., la mia ex-fidanzata.

Entriamo nell’appartamento sapendo che C. e la sorella in questo periodo sono fuori Roma, che i genitori sono andati al cinema o a teatro e che non torneranno prima di un paio d’ore.

B. va a farsi una doccia in uno dei due bagni della casa, sua sorella va nell’altro, io rimango sdraiato sul letto a pensare al rischio che stiamo correndo. Temo che possano tornare i genitori da un momento all’altro.

Ad un certo punto entra la vicina di casa, vicina di casa della mia fidanzata di quando ero adolescente. Mi guarda con sospetto, ma non fa minimamente cenno al fatto che mi abbia sorpreso in flagrante.

La signora mi racconta di sua sorella. Dice che, poverina, ha perso quattro dita in un recente incidente domestico. Mi mostra una sua unghia pretendendo che io la porti come come portafortuna.

Inorridisco di fronte a questo oggetto marrone e putrido.

Chiamo B. e sua sorella a gran voce dicendo loro di andare via in fretta da quella casa.

Disattenzione

Sono in un parcheggio con il mio amico T.D. e stiamo chiacchierando del più e del meno dentro alla sua macchina. Ad un certo punto decido di andare a prendere una cosa nella mia auto per mostrarla a T.

Arrivato all’auto mi accorgo che gli sportelli sono aperti e che nell’abitacolo c’è un odore diverso dal solito. Capisco che è entrato qualcuno in mia assenza. Temo che ci sia una persona accovacciata e nascosta sui sedili posteriori. Torno allora da T. e lo avverto dell’accaduto chiedendolgi di andare insieme a verificare la situazione.

Prima di recarci verso la mia auto T. prende, come arma di difesa, una tanica di benzina vuota di metallo dal bagagliaio della sua macchina.

Mi dirigo verso l’auto tenendo in mano un casco nero integrale.

Arrivati alla macchina mi accorgo che un signore dai capelli bianchi sta armeggiando dalla parte del passeggero. Lo aggredisco istantaneamente sferrandolgi un colpo con il casco. Il colpo, portato con il braccio destro, risulta però essere poco preciso ed estremamente debole. Colpisco infatti la spalla del signore il quale, senza scomporsi più di tanto, si rivolge a me con un volume di voce piottosto alto e mi spiega che la macchina in questione è la sua e che sarebbe stato prossimo alla partenza se non fossimo intervenuti noi a disturbarlo.

Mi accorgo di aver confuso l’auto, molto simile alla mia, e di essermi recato in una parte del parcheggio diversa da quella nella quale poco prima avevo parcheggiato.

Osservo gli occhi azzurri e candidi del signore dai capelli bianchi vergognandomi terribilmente del mio gesto.

Non guardo T. per paura di trovare nei suoi occhi un’espressione critica o di disapprovazione.

Tornando alla macchina penso a quanto T. nel corso degli anni potrà prendermi in giro per l’accaduto; mi sento di pessimo umore e provo una grande rabbia per il mio gesto e per la mia inaccettabile disattenzione.

Usciamo dal parcheggio con la macchina di T. e vagabondiamo per le vie di quella che appare essere la nostra città. Sembra un paese Toscano, le vie sono piccole, fresche e libere dal traffico.

Improvvisamente una ragazza su di un motorino “Ciao” va a sbattere per disattenzione contro la saracinesca di un negozio ancora chiuso cadendo a terra svenuta.

Chiamo immediatamente con il cellulare il 118 e chiedo l’intervento di un’ambulanza. Non mi accogo che l’operatrice ha risposto e rimango qualche secondo distratto e con il cellulare nella mano sinistra alla ricerca del nome della piazza nella quale mi trovo.

Dopo avere comunicato all’operatrice l’indirizzo, tra mille difficoltà, non ultima quella della miopia, mi dirigo verso il negozio con l’intenzione di aiutare la ragazza.

Nel frattempo il locale della saracinesca colpita ha aperto e i proprietari stanno aiutando la sfortunata ragazza. Entro nel bar/pizzeria a taglio e mi accorgo che un uomo e una donna stanno offrendo della pizza alla ragazza come soluzione del problema assicurativo sorto dopo l’incidente.

La ragazza però sembra non essere affatto contenta della magra consolazione offertale dai negozianti.

Mi accorgo di essere nudo e la ragazza comincia a prendersela co me, con una sorta di eloquio delirante, additandomi come tipico rappresentante del genere maschile.

Mi sembra evidente, dati i miei attributi in mostra, che io non possa negare di essere un uomo, cerco però di difendermi dalle accuse accogliendo il suo sfogo e contenendo la sua angoscia.

La ragazza va in bagno e io mi sdraio su di un letto all’entrata del negozio. Quando la ragazza esce mi accorgo di essere ancora nudo edi aver assunto una posizione che potrebbe essere equivocata e considerata come seduttiva (o per meglio dire da “piacione”).

Cambio posizione cercando di essere il più composto possibile.

Mi reco a mia volta al bagno passando per due stanze dall’arredamento molto spartano dentro le quali, su semplici tavoli di legno, famiglie e gruppi di amici passano insieme un’allegra serata mangiando pizza e bevendo birra.

Ex cameriere e padre di famiglia

Sono in un ristorante. Capisco nel sogno che è un ristorante nel quale ho lavorato in passato (non ho mai fatto il cameriere). Ci sono molti clienti e vedo i miei ex-colleghi barcamenarsi con difficoltà tra le mille cose da fare. Decido allora di dare una mano e mi dirigo verso un tavolo dove un cliente, del tutto simile a mio padre da giovane, mi chiede delle posate pulite. Al suo fianco un ragazzino antipatico e con la puzza sotto il naso rinnova l’invito del padre a portare in fretta le posate. Entro nelle cucine e tento di recuperare velocemente un po’ di posate, ma nella confusione generale non riesco a concludere assolutamente nulla. Penso che forse ormai non sia neanche il caso di tornare al tavolo visto il tempo trascorso dalla richiesta. Immagino che il cliente possa aver chiesto aiuto ad un altro cameriere ed aver quindi già ottenuto le posate pulite.

Decido quindi di uscire dal ristorante. Mi trovo così in una piazza di un paesino. La piazza sembra una pista di un trenino da Luna Park e, allo stesso tempo, il giardino dell’asilo nido dove lavorava mia madre quando ero piccolo.

Tra la gente, vicino ad alcune bancarelle, intravedo il mio cane. Gli faccio un po’ di coccole parlandogli dolcemente e stupendomi della sua adeguatezza nel rimanere a lungo da solo in un contesto del genere.

Dall’altra parte della piazza c’è un bambino. E’ mio figlio. Ha circa tre anni e sta cercando di farsi accettare da un gruppo di bambini, desideroso di giocare con loro a guardia e ladri.

Il leader del gruppo sembra non gradire la sua presenza. Mio figlio viene spintonato e cade a terra. Gli dico di non piangere e di trovare una soluzione alla questione senza far vedere che è così intimorito dalle circostanze. Dopo avergli dato il consiglio mi pento immediatamente pensando che debba essere lui, secondo il proprio carattere, a trovare una soluzione alla difficile situazione. Attraverso questo mio intervento, penso, rischio di trasferire su di lui i miei problemi senza permettergli di sperimentare le proprie potenzialità, le proprie debolezze e le poprie capacità.

Dopo pochi secondi mi accorgo che il leader del gruppo sta ridendo a crepapelle a causa di una battuta di mio figlio.

L’intero gruppo ormai ha accettato mio figlio. I bambini ora corrono in cerchio e si inseguono per la piazza divertendosi e chiamandosi per nome.