Il Parkour solitario

E’ domenica. Sono in un cortile di un’autocarrozzeria. Ha da poco piovuto e l’aria è fredda.

Un ragazzo magro si sta allenando a compiere salti molto complessi e pericolosi da zone rialzate del cortile. Lo osservo mentre tenta un salto giro con mezzo avvitamento da un gradino alto un paio di metri. Il ragazzo sbaglia senza farsi male. Torna poi sul gradino per tentare un’altro salto.

Per non sembrare troppo invadente mi allontano di poco e comincio a correre sull’acqua tentando di scivolare lungo una piccola discesa alla fine del cortile, ma senza ottenere grandi risultati.

Penso che anche io potrei tentare qualche evoluzione, ma poi decido che non è il caso non essendo allenato ed essendo consapevole delle mie ormai limitate capacità atletiche.

Il ragazzo mi nota, smette di allenarsi e comincia ad osservarmi mentre tento di compiere improbabili scivolate lungo la discesa del cortile.

Improvvisamente ci troviamo sulla terrazza del Pincio a chiacchierare amabilmente in compagnia di Enrico che nel frattempo si è unito a noi.

Il ragazzo racconta di essere di Torino e di aver vissuto per anni in alcune città del nord dove, da molti anni, è in voga il fenomeno del Parkour.

Da pochi mesi vive a Roma e non ha ancora fatto amicizia con nessuno. Gli dico che è pericoloso allenarsi da solo perché c’è il rischio di farsi male e di non avere la possibilità di chiedere aiuto.

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