Apparecchio ortodontico

Sono in casa, indosso un apparecchio ortodontico fisso che inizia a rompersi, poi sono io a toglierlo del tutto, con molte difficoltà e ferendomi la bocca ma senza nessun dolore. Ho solo la sensazione di costrizione della “gabbia” da cui voglio liberarmi. Mi chiedo come ho fatto a indossarlo per così tanti anni (realmente l’ho messo sedici anni fa e portato per 3 anni) senza sentire il desiderio di togliere tutto e mostrare il mio sorriso.

I DJ impediti, le amiche ballerine e l’orso bruno

Sono in un locale dove sta per iniziare una serata musicale in cui si esibiscono due DJ. Il posto è tutto in legno, tipo baita di montagna… Lo speaker annuncia il duo e mi avvicino alla consolle. I due si guardano e iniziano la routine. Dopo qualche scratch parte il beat e inizio a muovere la testa a tempo. “Niente male” penso. Ma dopo circa 30 secondi si fermano. Il tipo al campionatore, una sorta di MPC dal colore dorato, cerca di farlo suonare a dovere ma non ci riesce. Preme tasti a caso sperando di trovare la causa del malfunzionamento. Il pubblico non reclama, si dimostra comprensivo. Il DJ non sembra molto imbarazzato dal contrattempo. Niente da fare… Dopo vari e vani tentativi ci ritroviamo tutti a tavola a discutere dell’accaduto. C’è chi da la colpa al campionatore, chi al DJ e chi, come me, al cavo che collegava l’apparecchio al mixer. “I cavi si rompono facilmente” dico, “basta passarci sopra con la sedia e si rompono e non trasmettono più il segnale”. Quasi tutti sono d’accordo.
Mi ritrovo ad un tavolo con C.P. e un’altra ragazza che potrebbe essere I.B.
Beviamo dei cocktail.
Ad un tratto C.P. tira fuori un ombrello a strisce, di un colore tendente al giallo/arancione. È molto grande. Così grande che quando lo apre il suo corpo viene completamente coperto dall’ombrello. Poi nizia a ballare muovendolo in modo da creare una certa coreografia. Anche I.B. Inizia a fare la stessa cosa ma con dei pezzi di stoffa. Mi avvicino in fretta a loro con il cellulare in mano, voglio scattare delle foto. Sono vicinissimo a I.B. tanto che mi sfiora il viso con i pezzi di stoffa che sta facendo volteggiare. Mi rimane difficile mettere a fuoco. inoltre la luce è poca e le due ballerine si muovono veloci quindi penso che le foto verranno male. Ma con mia grande sorpresa un paio vengono abbastanza bene.
Mi ritrovo nel piazzale fuori il locale, è giorno, C.P. continua a ballare accanto al muro. Ridiamo parecchio. Nella mano dove avevo il cellulare ora ho una sorta di racchetta da ping pong con cui colpisco una pallina di gomma che rimbalza in continuazione sul muro davanti al quale sta ballando la mia amica. Passa un signore, dice qualcosa che non ricordo.
Sono al telefono con S.P., accanto a me i miei figli. Guardo verso un giardino in cui scorgo un orso bruno che cammina su due zampe. È enorme ma apparentemente innocuo. Intorno a lui passeggiano delle persone. Lo faccio notare ai miei figli, una lo vede l’altro se lo perde.

Cabina del telefono

Ero in una cabina telefonica, ma di quelle vecchie con l’apparecchio grigio ed i vari tasti gialli e mentre ero al telefono mi arriva un sms di A. che mi dice che la sera prima ero proprio bello. Poi mi distraggo un secondo per rispondere all’sms e mi ritrovo nel salone di casa mia ma sempre dentro la cabina. Esco e due bambini mi saltano addosso. Credo di essere lo zio, non il padre, ed iniziamo a giocare a Twister (il gioco in cui si intrecciano gambe e piedi su un tappeto colorato). Alla fine del gioco cado esausto sul tappeto e sento le risate dei bambini che si allontanano verso la cucina. Evidentemente mi addormento per la stanchezza perchè dopo qualche ora mi sveglio riposato nel mio letto con G. che mi chiama.