Deliri toscani

Sto a San Quirico a casa dei miei. Mentre mi dirigo verso il campo oltre il ponticello intravedo mio padre. Lo saluto e dietro di lui noto che non c’e’ piu il recinto con le caprette e le grotte che c’erano prima sono state ristrutturate con blocchi di tufo nuovi nuovi. Gli chiedo che fine abbia fatto il recinto e lui indica alla mia destra. Mi giro e vedo che, nel lato destro del campo, c’e’ una costruzione ad un piano costituita anch’essa da blocchi di tufo. E’ molto ampia e con un terrazzo rialzato dal terreno costruito con assi di legno. La trovo fantastica e non vedo l’ora di visitarla da piu vicino. Chiedo a mio padre quando sia stata costruita e lui, con fare un po’ scocciato mi dice “Eh, quando e’ stata costruita secondo te?”… dal suo tono e viso capisco che l’ha costruita lui nella mattinata. Mi giro di nuovo verso la costruzione ora separata da me da una rete metallica, oltre la quale c’e’ mia sorella V., vicino alla casa. Abbasso lo sguardo e intravedo un’apertura nella rete e decido di sfruttarla per avvicinarmi a questa opera edile. Infilo prima la testa e noto che una radice fuoriuscita dal terreno mi complica il compito di raggiungere l’altro lato della rete, nel mentre un serpentello esce dal terreno. Allora mi affretto e inizio a gridare a mia sorella “Un serpente, un serpente!” perche’ ho paura che mi morda, poi il serpente cresce di dimensioni e dico “Ah no e’ un boa” e mi tranquillizzo perche’ so che il boa non uccide mordendo.

Mi ritrovo prima del ponticello con F. e le dico che non trovo piu la marijuana. Lei mi indica una piantina vicino a me dicendo che posso usare quella anche se non e’ cresciuta molto perche’ e’ inverno, la prende e me la porge. E’ buio e non capisco bene di che pianta si tratta poi capisco che si tratta di rosmarino e mi indispongo un po’ perche’  ha tolto una piantina di rosmarino dal terreno quando questa doveva ancora crescere. Sondo il terreno col dito per trovare l’alloggiamento originario della piantina e una volta trovato lo allargo un po’, ripongo la piantina e compatto la terra attorno ad essa.

Mi dirigo verso la porta di casa e dal vetro vedo mia sorella V. che pulisce per terra, indossa una vestaglietta bianca e delle cuffiette, mi sembra un po’ agitata. Busso al vetro e lei si gira, apro la porta, entro e lei inizia a lamentarsi del mocio che sta utilizzando, non funziona come dovrebbe. Me lo mostra e in effetti non e’ il classico mocio che tutti conosciamo, al posto delle fettucce ha dei fili blu, tantissimi.

Sono di nuovo con F. nello spazio prima del ponticello e sono in ansia perche’ non troviamo piu nostra figlia. Le chiedo se e’ stata lei la sera prima a metterla in macchina poiche’ io non ricordo di averlo fatto. Sono nel letto di casa di Roma che piango per questo fatto, F. non c’e’. Mi sveglio e la vedo che guarda nella culla, le chiedo “E’ tornata? Dov’e’ stata tutto questo tempo?”. Poi mi sveglio sul serio…

L’ufficio-ospedale

Con mia grande sorpresa vengo a sapere di essere stato trasferito di stanza e la mia compagna di lavoro altri non e’ che una vecchia collega con cui ho lavorato all’inizio della mia vita lavorativa. Contento di cio’ mi industrio per sistemare la stanza, ridotta in uno stato pietoso, molto somigliante ad uno studio di un artigiano. Assi di legno qua e la appoggiate a terra e alle pareti, le sposto, di poco… Poi torno ad occuparmi della scrivania. E’ posta longitudinalmente ad una delle pareti corte della stanza, al suo centro, accanto a quella della mia collega ed un vetro divide me e lei. Sulla porta appare il mio vecchio responsabile di cui non ho un bellissimo ricordo e subito capisco di essere tornato a lavorare per lui. Faccio notare la mia scontentezza ed esco dalla stanza con passo affrettato per andare a reclamare non so bene da chi. Mi dirigo fuori dell’edificio percorrendo un corridoio lungo con pareti verdine; arrivo ad una stanza all’interno della quale intravedo una doccia in funzione e dietro al pannello di vetro appannato spicca un fondoschiena (notevole) di una ragazza con pelle leggermente scura. Mi avvicino e piu in la c’e’ un uomo grassottello con un camice da infermiere verde, mi vedono e cambio strada. Esco dal portone a vetri dell’edificio e davanti a me un enorme prato brullo con pochi alberi. Mi dirigo a sinistra sul marciapiede grigio e inizio a correre ma quasi subito le gambe si appesantiscono troppo e faccio fatica a mantenere l’andatura.