Orsoli o folletti

Mi trovo davanti a un disegno, fatto da un bambino o bambina.. sembra uno di quei quadri che visti da vicino non hanno senso ma appena ti allontani tutto è più chiaro. Sembra di essere l’unica in grado di interpretarlo e di comunicare con il bambino. Ad un tratto il disegno diventa a colori, anche se solo in parte, si vedono delle fragole e tantissime foglie. Inoltre dei folletti o gnomi con delle torte di fragole e il bimbo mi spiegava che si chiamavano orsoli e non erano come le fate a cui uno chiede aiuto ma erano degli esseri che sceglievano di donare il loro amore incondizionatamente anche attraverso il dolce e si sarebbero presi cura della persona che avevano scelto per tutta la vita. Quasi come essere nelle pagine di un libro di favole

Il Parkour solitario

E’ domenica. Sono in un cortile di un’autocarrozzeria. Ha da poco piovuto e l’aria è fredda.

Un ragazzo magro si sta allenando a compiere salti molto complessi e pericolosi da zone rialzate del cortile. Lo osservo mentre tenta un salto giro con mezzo avvitamento da un gradino alto un paio di metri. Il ragazzo sbaglia senza farsi male. Torna poi sul gradino per tentare un’altro salto.

Per non sembrare troppo invadente mi allontano di poco e comincio a correre sull’acqua tentando di scivolare lungo una piccola discesa alla fine del cortile, ma senza ottenere grandi risultati.

Penso che anche io potrei tentare qualche evoluzione, ma poi decido che non è il caso non essendo allenato ed essendo consapevole delle mie ormai limitate capacità atletiche.

Il ragazzo mi nota, smette di allenarsi e comincia ad osservarmi mentre tento di compiere improbabili scivolate lungo la discesa del cortile.

Improvvisamente ci troviamo sulla terrazza del Pincio a chiacchierare amabilmente in compagnia di Enrico che nel frattempo si è unito a noi.

Il ragazzo racconta di essere di Torino e di aver vissuto per anni in alcune città del nord dove, da molti anni, è in voga il fenomeno del Parkour.

Da pochi mesi vive a Roma e non ha ancora fatto amicizia con nessuno. Gli dico che è pericoloso allenarsi da solo perché c’è il rischio di farsi male e di non avere la possibilità di chiedere aiuto.

Alessandro

Io e F. veniamo arrestati e invece che in prigione mi ritrovo (F. e’ uscita di scena) in una caserma che ha tutte le sembianze di un comune appartamento.

Con me ci sono altri due ragazzi, li conosco, sono vecchi compagni di naja. Di uno di loro mi ricordo anche il nome, ne sono piu che certo. Si comporta in modo strano, si muove spesso e parla a vanvera. Io gli rispondo chiamandolo per nome: “Tu sei Alessandro vero?. Il tipo nè conferma nè smentisce.

Sono in ansia e mentre realizzo di essere tornato a svolgere il servizio di leva vedo entrare nella stanza tre tipi. Uno di loro e’ G., un mio caro amico che e’ ufficiale nell’esercito. E’ venuto a “liberarmi”. Indossa Rayban a goccia e un giubbino di pelle, e’ molto concentrato e serio. Mi fa strada verso una porta che da all’esterno. Usciamo e ci dirigiamo verso casa sua.

Mentre camminiamo un po’ affrettati mi rendo conto di dove siamo, riconosco i palazzi. Mi rivolgo a lui dicendo: “Ah, e’ vero, me lo avevi detto che avevi casa di fronte alla caserma.”.

Attraversiamo un paio di viottoli stretti, illuminati da luci giallo/verdi ed arriviamo ad un bar. Lì ci aspettano altre persone. Sono sedute ad un tavolo su delle panche, sulla terrazza del locale, sembrano molto ansiosi di parlarci.

Arrivato al tavolo con l’idea che quelle persone siano lì per aiutarmi, realizzo poco dopo che invece sono altri individui bisognosi dell’aiuto di G. Mi preoccupo, anche perche’ una di loro ha un biglietto attaccato addosso con su scritto “4 anni”, il tempo che attende invano l’aiuto del mio amico.