Nonna Claudia

Mi trovo in giardino di casa mia…sono in tuta da ginnastica, in divisa ufficiale della mia squadra, pronta per giocare una nuova partita di campionato, il mister mi dice di riempire il più possibile le buste di plastica con l’acqua della fontanella davanti a me…mi organizzo prendo tutte le buste di plastica che trovo in giro e comincio a riempirle di acqua fino all’orlo, mi dice che devo fare in fretta prima che arriva la squadra avversaria. Ne riempo tantissime, grandi, piccole anche i sacchi neri… quelli condominiali, le ripongo tutte in una carriola che trovo davanti alla fontanella e ad un certo punto mi viene fame. Mi allontano dalla fontanella dal giardino e decido di entrare in cucina, quella del piano terra. è perfettamente funzionante, pulita, trovo delle persone a lavoro, c’è chi cucina, chi pulisce…presa dalla fame vado davanti al frigorifero lo apro e comincio a cercare qualcosa da mangiare…arriva mia nonna, nonna claudia, con i suoi capelli raccolti e con il suo viso rilassato e rassicurante e mi dice di aprire i cassetti in alto del frigorifero dove c’è il formaggio, in realtà ce ne sono di vario genere, insomma ne trovo una vasta scelta, decido di prendere un pezzo di tomino già iniziato…la guardo, mi guarda, mi sorride e mi da anche un pezzo di pane, esco e torno in giardino dalle mie buste di plastica…

 

Velocità

Inizia che mi sveglio da un sonno profondo e non capisco subito dove sono. Ma in un attimo metto insieme i dettagli e connetto logica ed emozioni: dentro un’auto bassa bassa e molto spartana, da corsa ma tipo go-kart, lamiera. Velocissimo sotto di noi il nastro di asfalto nero della pista. Se allungassi il braccio fuori potrei toccarlo e penso (e immagino la scena) all’abrasione che mi consumerebbe mezzo braccio in un nanosecondo pulp. Paralizzata e schiacciata. Un rumore frastornante. L’auto è verde Kawasaki (so che ne avevamo parlato un paio di giorni prima), colore che non mi piace e gliel’ho detto. Il poggiatesta con dietro quella semi-ogiva che fa tanto auto sportiva, sempre verde. Non c’è tetto, se la pressione non me lo impedisse saprei che sopra c’è sole e cielo azzurro. Forse c’è un rollbar. Andiamo alla velocità della luce verso un cavalcavia. Sono terrorizzata, non sono io a guidare, ho freddo, sono assordata, non ho il controllo, vorrei urlare ma l’aria contro non fa uscire la voce. Finalmente trovo il coraggio per voltarmi e guardare chi guida, se qualcuno guida. Giro la testa, lo vedo, mi sorride rilassato e a suo agio, allunga la mano destra sul mio ginocchio e io improvvisamente mi sciolgo, sento la paura andarsene e lo starbene che si fa un giro in tutte le mie vene.