Ex cameriere e padre di famiglia

Sono in un ristorante. Capisco nel sogno che è un ristorante nel quale ho lavorato in passato (non ho mai fatto il cameriere). Ci sono molti clienti e vedo i miei ex-colleghi barcamenarsi con difficoltà tra le mille cose da fare. Decido allora di dare una mano e mi dirigo verso un tavolo dove un cliente, del tutto simile a mio padre da giovane, mi chiede delle posate pulite. Al suo fianco un ragazzino antipatico e con la puzza sotto il naso rinnova l’invito del padre a portare in fretta le posate. Entro nelle cucine e tento di recuperare velocemente un po’ di posate, ma nella confusione generale non riesco a concludere assolutamente nulla. Penso che forse ormai non sia neanche il caso di tornare al tavolo visto il tempo trascorso dalla richiesta. Immagino che il cliente possa aver chiesto aiuto ad un altro cameriere ed aver quindi già ottenuto le posate pulite.

Decido quindi di uscire dal ristorante. Mi trovo così in una piazza di un paesino. La piazza sembra una pista di un trenino da Luna Park e, allo stesso tempo, il giardino dell’asilo nido dove lavorava mia madre quando ero piccolo.

Tra la gente, vicino ad alcune bancarelle, intravedo il mio cane. Gli faccio un po’ di coccole parlandogli dolcemente e stupendomi della sua adeguatezza nel rimanere a lungo da solo in un contesto del genere.

Dall’altra parte della piazza c’è un bambino. E’ mio figlio. Ha circa tre anni e sta cercando di farsi accettare da un gruppo di bambini, desideroso di giocare con loro a guardia e ladri.

Il leader del gruppo sembra non gradire la sua presenza. Mio figlio viene spintonato e cade a terra. Gli dico di non piangere e di trovare una soluzione alla questione senza far vedere che è così intimorito dalle circostanze. Dopo avergli dato il consiglio mi pento immediatamente pensando che debba essere lui, secondo il proprio carattere, a trovare una soluzione alla difficile situazione. Attraverso questo mio intervento, penso, rischio di trasferire su di lui i miei problemi senza permettergli di sperimentare le proprie potenzialità, le proprie debolezze e le poprie capacità.

Dopo pochi secondi mi accorgo che il leader del gruppo sta ridendo a crepapelle a causa di una battuta di mio figlio.

L’intero gruppo ormai ha accettato mio figlio. I bambini ora corrono in cerchio e si inseguono per la piazza divertendosi e chiamandosi per nome.

La bicicletta fissa

Sono in una zona periferica di Roma e sto percorrendo a piedi una grande strada simile alla Tuscolana alla ricerca di un negozio di biciclette.

Dopo aver percorso una parte della strada senza aver trovato alcunché, decido di entrare in un negozio di scarpe per chiedere informazioni.

Una ragazza molto grassa e vestita di bianco mi viene incontro riconoscendomi. E’ una mia conoscente, anche se nella realtà non la conosco affatto.

“Ma che ci fai qui?” mi dice con voce squillante ed allegra.

“Mi sai dire dove è il negozio di biciclette?” chiedo.

“Certamente. E’ qui vicino, ma non ricordo se a destra o a sinistra dell’uscita. Comunque saranno poche centinaia di metri.”

Ringrazio la ragazza, che nel frattempo mi ha parlato di alcuni amici in comune, ed esco dirigendomi a sinistra, consapevole di aver già percorso la parte destra della grande strada di periferia.

Pochi istanti dopo trovo il negozio ed entro.

Dietro al bancone una ragazzo alto e dal viso simpatico mi dice di essere a mia disposizione per eventuali informazioni. Io chiedo quanto vengano dei cerchioni nuovi per la mia bicicletta.

“Trenta Euro quello anteriore e trentacinque quello posteriore, poi se vuoi smontare la corona vecchia e montarla sulla posteriore nuova saranno al massimo altri cinque Euro”

Ci confrontiamo sulle ipotesi migliori per ristrutturare le bici fino a scoprire di essere interessati tutti e due alle biciclette con il mozzo fisso.

“Dai, anche io sono un patito della fissa!” mi dice con entusiasmo.

“Se vuoi farla possiamo lavorare insieme, ti faccio un buon prezzo. Sarebbe la mia prima fissa e sarei troppo contento!” mi spiega gioiosamente.

Parliamo un po’ di catene e di pignoni soffermandoci poi sul prezzo di un mozzo fisso nuovo.

La cifra è abbastanza alta, ma l’idea di imparare a modificare le bici e di avere finalmente una “fissa” mi alletta notevolmente.

Ragiono su quanto possa però essere faticoso pedalare su di una bici del genere, dove il movimento della ruota è in stretta relazione all’intensità della pedalata e dove l’assenza di movimento delle gambe corrisponde ad una “fissità” della ruota stessa.

 

Affollamento

Sono nella mia casa in montagna dove c’è anche il mio studio, vivo lì. I muri sono un pò cadenti e mi rendo conto di dover ritinteggiare il soggiorno. c’è anche un buco nell’intonaco che fa intravedere dei mattoni. E’ un pomeriggio di lavoro. Poi mi affaccio alla finestra e vedo M., il custode della casa in campagna, ci sono moltissimi cani e penso che dovrò fare qualcosa perchè continuano a proliferare e non so più dove mettere i cuccioli. Poi arriva Cesidio, il mio vecchio istruttore di equitazione e mi dice che dovrei riprendere. mi propone il lunedì ed il martedì pomeriggio, magari intorno alle 18; gli dico che l’idea mi piace molto ma dentro di me so che alla fine non  riuscirò ad andare. Sono sempre troppo stanca quando finisco di lavorare. Poi vado con mio marito al porto del paese (anche se nella realtà ovviamente non c’è) dove ho un altro studio. Lui mi dice che adesso sarebbe andato a farsi un tatuaggio; vediamo insieme una barca con l’isegna “tu” che è un laboratorio dove si fanno i tatuaggi. io nel frattempo vado nel mio studio. E’ pieno di genitori, di gente e bambini e penso che non riuscirò a vederli tutti. Sono stanca. Entro nella mia stanza ma c’è una tirocinante, già il paziente ed altre persone. tento di fare il mio lavoro non curandomi di questa invasione ma è difficile. Poi bussano alla porta ed è il padre di un’altra paziente che mi dice che mi ha portato un pensiero per Pasqua. Gli dico che sto lavorando e che questa non è la sua ora, lui mi dice che va bene ma nel frattempo si siede. Continuo con S. ma poi mi accorgo che questo signore non è uscito, così lo ringrazio di nuovo ma gli ripeto di andarsene e così per altre due volte. Alla fine lo trascino via di forza dalla stanza mentre la rabbia mi assale.

I “Magnifici 10”

Sono seduta ad una scrivania in redazione e sto lavorando agli articoli del prossimo mese; ad un certo punto si avvicina un mio collega e mi dice che ha pensato lui, questa volta, a stilare la lista dei “Magnifici 10”, i 10 lotti più alti battuti in asta nel mese. Mi porge la lista, io la leggo e mi accorgo che i primi due lotti sono una testa di statua romana e un quadro rinascimentale, allora mi volto e gli dico che noi siamo una rivista d’arte contemporanea e quindi anche i Magnifici 10 devono riguardare esclusivamente l’arte contemporanea. Lui dice che non è vero e che secondo lui va bene così. Io sento la rabbia montare, mi alzo per andare dal caporedattore per spiegargli l’accaduto ma quando gli arrivo vicino mi rendo conto che devo sbrigarmela da me e non posso chiamarlo in causa come giudice.

Delitto e castigo

Sono seduta sul sedile di dietro di una macchina e davanti ci sono un uomo e una donna che sembro conoscere. Stiamo guidando lungo viale Trastevere e poi giriamo a destra e la strada ci porta in un paesino. Scendiamo e suoniamo ad una porta. Ci aprono una donna con la figlia adolescente, noi chiediamo dove sia il marito, lei ci indica un posto poco lontano. Raggiungiamo il luogo, troviamo l’uomo e lo uccidiamo (mi sembra strangolandolo). Risaliamo in macchina in silenzio ma io sono disperata perché so che la polizia risalirà a noi tramite la moglie e dovrò passare il resto della vita in carcere e ho così buttato la mia vita.

Cambia scena, sono a Londra, Bea mi dice che devo tornare a lavorare nella nuova sede della galleria JJ/WC (dove ho lavorato davvero) e che lei già lavora lì da un po’. Sono incerta ma salgo sulla metro per andarci. Quando scendo chiedo indicazioni ad una signora ma parliamo in francesce invece che in inglese e poi mi rendo rendo conto che anche i nomi delle vie e le targhe delle macchine sono scritti in francese. Allora mi dispero e mi rendo conto di essermi addormentata sulla metro e di aver attraversato il tunnel della Manica senza accorgermene.

L’ufficio-ospedale

Con mia grande sorpresa vengo a sapere di essere stato trasferito di stanza e la mia compagna di lavoro altri non e’ che una vecchia collega con cui ho lavorato all’inizio della mia vita lavorativa. Contento di cio’ mi industrio per sistemare la stanza, ridotta in uno stato pietoso, molto somigliante ad uno studio di un artigiano. Assi di legno qua e la appoggiate a terra e alle pareti, le sposto, di poco… Poi torno ad occuparmi della scrivania. E’ posta longitudinalmente ad una delle pareti corte della stanza, al suo centro, accanto a quella della mia collega ed un vetro divide me e lei. Sulla porta appare il mio vecchio responsabile di cui non ho un bellissimo ricordo e subito capisco di essere tornato a lavorare per lui. Faccio notare la mia scontentezza ed esco dalla stanza con passo affrettato per andare a reclamare non so bene da chi. Mi dirigo fuori dell’edificio percorrendo un corridoio lungo con pareti verdine; arrivo ad una stanza all’interno della quale intravedo una doccia in funzione e dietro al pannello di vetro appannato spicca un fondoschiena (notevole) di una ragazza con pelle leggermente scura. Mi avvicino e piu in la c’e’ un uomo grassottello con un camice da infermiere verde, mi vedono e cambio strada. Esco dal portone a vetri dell’edificio e davanti a me un enorme prato brullo con pochi alberi. Mi dirigo a sinistra sul marciapiede grigio e inizio a correre ma quasi subito le gambe si appesantiscono troppo e faccio fatica a mantenere l’andatura.