Il Responso

Ho sottoposto (anche nella vita reale) le foto di un’artista al curatore di un importante progetto e aspetto la sua risposta.

Mi ritrovo seduta ad un tavolino rotondo bianco nella stessa stanza con questo curatore che è, invece, seduto alla sua scrivania davanti al computer nell’angolo della stanza. Lui non mi vede, oppure non percepisce la mia presenza, ed io lo guardo come in una candid camera mentre apre le email e legge la mia commentando che l’artista in questione non è adatta e che è scadente.

Il senso di delusione è forte soprattutto perché attribuisco il fallimento al mio non avere incluso nel portfolio una foto in particolare per via di una dimenticanza.

 

Gelosie estive

Mi trovo seduto ad un tavolino quadrato di legno, sotto all’incannucciata del portico di un bar di una località marittima non ben identificata. Di fronte a me un bicchiere pieno di un succo di frutta qualsiasi. Il tavolino è posto al limite del portico e dà sul vialetto di mattoncini color cotto, io do le spalle al bar.
Una ragazza con un seno enorme e sodo passa di fronte a me. Indossa una maglietta bianca mezza trasparente e ha un’andatura talmente ritmata da farle agitare il seno. La seguo con lo sguardo e nel momento in cui si ritrova alla mia estrema sinistra noto che il suo seno ora è particolarmente calato…
Resto con lo sguardo puntato alla mia sinistra e noto un ragazzo e una ragazza che si azzuffano sulla sabbia. In realtà il ragazzo pare sia inciampato e sta quindi cadendo sulla ragazza che tra l’altro è in topless… L’aspetto più interessante però è che la scena si svolge al rallentatore e questo mi da modo di prepararmi con tutta calma ad evitare le secchiate di sabbia che stanno alzando.
Con altrettanta calma, attenzione ed interesse, osservo anche il lentissimo movimento del seno della tipa coinvolta.
Il rallentìo termina e la tipa, da terra, scalcia della sabbia sul didietro del tipo. Me li ritrovo accanto che discutono dell’accaduto, davanti ai miei occhi il didietro insabbiato del ragazzo.
Chiedo a S.P., che si trova oltre il portico del bar, come sia andata la sera prima. Mi risponde “Ha fatto il bravo, ma io non…”. Ma non riesco a capire la fine della risposta. Risposta che comunque non mi soddisfa dal momento che ero sicuro che la sera prima sarebbe dovuta andare fuori città e non uscire con qualcuno.
Alla mia destra, sdraiata su un lettino, c’è M.G.M.. Ha i capelli neri e leggermente mossi e indossa un bikini dai toni azzurri. Mi illumina sulla risposta di S. dicendomi a voce bassa “È uscita con lo storico, è molto bello.”, intendendo per “storico” lo studioso di storia. Nel frattempo S. sta giocando con dei bambini in una voragine erbosa in cui sparisce… Mi ingelosisco un po’ e giro lo sguardo verso sinistra, verso l’uscita dello stabilimento, pronto a fare una scenata coi fiocchi così che S. si renda conto di quanto tenga a lei.
Cambio idea e decido di entrare nel bar. Chiedo a M.G. se vuole qualcosa e dopo una serie di “Niente grazie.” decide per un lemonissimo.
Entro nel bar e mi rendo conto che in realtà è più che altro un ristorante. Alla mia sinistra una cameriera è intenta a fare la scarpetta in un vascone enorme dove è rimasto del sugo e dei gamberetti. Dopo qualche tentativo riesce a raccogliere del sugo, evitando di portare su anche i crostacei, e si porta, in maniera molto teatrale, il pezzo di pane alla bocca. Lo fa velocemente per non farsi beccare dal principale. La ritrovo seduta ad un tavolino.

Profumo di donna e parassiti sottocutanei

Sono ad un pranzo insieme a molte altre persone. I tavoli sono quelli che si potrebbero trovare ad una sagra e sono disposti un po’ alla rinfusa.
Siedo accanto ad una ragazza mora vestita di nero. So bene chi sia anche se nel sogno la somiglianza non è del tutto fedele. Mi avvicino al suo collo ripetutamente e in maniera furtiva per annusarne il profumo. Dopo aver rubato per due o tre volte la dolce essenza dal suo collo, noto un’altra ragazza vestita completamente di bianco, mora anch’essa, dall’altro lato del tavolo, che mi fulmina con lo sguardo e mi manda a quel paese mimando un vaffa con la bocca.
In quel momento mi ritrovo seduto a capotavola, con la testa abbassata, rivolta verso il pavimento. Accavallo la gamba sinistra sulla destra e noto un piccolissimo puntino di grasso sulla caviglia. Inizio a grattarlo con l’unghia del dito indice della mano destra per cercare di asportarlo ma più gratto, più il puntino diventa grande… E quando ha raggiunto le dimensioni di qualche millimetro, inizia a muoversi, proprio come farebbe un piccolo vermetto bianco. Rendendomi conto di cosa stavo ospitando sotto la pelle della mia caviglia, afferro con le dita la piccola sporgenza bianca e soda e tiro con decisione, ritrovandomi in mano un verme di qualche centimetro. Sorprendentemente non sento alcun fastidio o dolore e la cosa mi rincuora anche perchè quando osservo meglio il buco lasciato dal verme noto che dentro ce ne sono altri più o meno lunghi. Ne afferro un altro e lo tiro fuori. E poi un altro ancora, e ancora. Nella mano ormai ho cinque o sei vermi di varie grandezze e sulla caviglia un buco di qualche centimetro, senza più parassiti al suo interno. Non noto molto sangue.
Mi alzo dal tavolo e cerco di svicolare tra gli altri, perdendo l’equilibrio un paio di volte. Ho ancora i vermi in mano, devo farli vedere a mia madre, l’unica persona che ho in mente che possa darmi consigli sul da farsi. Mi rendo conto subito dopo che non c’è più ma la cosa non mi butta giù più di tanto e penso che sono grande abbastanza per cavarmela da solo.
Esco di scena, ho in mano un filetto di pesce la cui consistenza della carne somiglia molto a quella dello sgombro in scatola. Lo sto ispezionando in cerca di altri vermi.

Il Samurai e le sub-papere

Sono un samurai giapponese, il signore di un palazzo che si affaccia su un lago. dentro la mia residenza vi sono delle inservienti e una donna ninja. Io vestito con tipici indumenti dell’epoca nippo-medioevale, con lunghi capelli lisci e le ciabatte infradito.

Mi dirigo verso la porta a due ante che dà sulla terrazza, apro e mi trovo in un balcone ampio e coperto da un tetto sorretto da colonne di legno come il pavimento e la ringhiera. La terrazza era una palafitta sul lago. Il lago si stendeva fino all’orizzonte e solo le montagne lontane lo delimitavano.

Mi dirigo verso un punto di luce nel terrazzo, probabilmente formato dai raggi del sole, intento a voler trovare il centro del balcone dove potermi sedere per meditare…noto però che il punto di luce non era il centro, che stava invece a circa un metro sulla sinistra ed era rappresentato da un quadrato di legno sulla pavimentazione. Il quadrato centrale aveva dei piccoli quadrati agli angoli. Mi siedo li nella classica posizione del loto…

A questo punto il balcone sembra restringersi ed io mi trovo seduto davanti al bordo contemplando il lago. Chiudo gli occhi come per concentrarmi ma diventa difficile, sono infastidito, riapro gli occhi e vedo due papere che nuotano nel lago. Una si immerge, sembrano intente a pescare in un acqua verde, sporca. Una cosa mi attira di loro…hanno delle maschere da nuoto agli occhi ed io le giustifico adducendo ad un loro adattamento alle acque inquinate.

Quel lago era sempre stato il lago sotto al mio palazzo e non sopportavo di vederlo così inquinato…cerco comunque di concentrarmi poichè dovevo prepararmi… a cosa?

Riapro gli occhi e da lontano vedo emergere dalle acque una testa di donna fermandosi all’altezza del naso: i capelli arruffati neri e corti e due occhi che si nascondevano dietro l’ombra delle arcate sopraccigliari.

Capisco perchè mi stavo concentrando…Subito balzo all’indietro con una capriola e mi dirigo verso le stanze dove ho le mie armi. Dentro un mobile prendo una spada di tre. la più corta. Il pericolo tuttavia non è ancora ne imminente ne tangibile. Le spade non erano proprio  lame katana, ma  sembravano più dei coltelli del pane di diversa lunghezza e seghettati con il manico bianco…

La pizza rossa

mi trovo con i miei cugini V e L in una soffitta di un palazzo a me sconosciuto… V mi fa da guida e mi porta a visitare tutte le stanze della casa…la stanza delle rose, la stanza delle barche, insomma attaccato ai muri ci sono dei quadri a tema, nella prima disegni di rose rosa e nella seconda delle stampe di velieri, V mi dice di guardare attentamente i quadri appesi e mi chiede se li riconosco, erano di nostro nonno, stavano nella sua vecchia casa bianca al mare, ma io non li riconosco per niente, per me sono del tutto nuovi, insomma non mi ricordo di averli mai visti in passato…eppure V insiste e mi dice che non è possibile… decido di uscire dalla stanza con i velieri e scendo una lunga e larga scala di travertino, simile a quella del palazzo delle esposizioni di Roma, ed ecco che vedo mio cugino L seduto che mangia un pezzo di pizza rossa, quella del fornaio, bassa, croccante, buona…allora decido di prendere dalla mia borsa a tracolla la mia, la tiro fuori e comincio a mangiare la mia pizza rossa del fornaio insieme a lui…

Compleanno di paura

E’ il giorno del mio compleanno. Alessio, il mio amico e acconciatore di fiducia, mi regala un cavallo andaluso, baio, bellissimo, con una lunga coda e molto elegante. Penso che sia veramente bello anche se lo temo un po’ perchè è molto grande. Mia sorella mi regala un cane femmina, mi dice che così la posso portare a Bracciano con tranquillità, senza che litighi con altri cani maschi. Io penso che sia solo una scusa per farmi andare di più a Bracciano per occuparmi della casa e sono molto triste. Mihai, il custode di Bracciano, intanto si prende cura del mio cavallo, gli pulisce le zampe e gli zoccoli, mettendolo seduto come se fosse un cane gigante. Mentre festeggio il mio compleanno, in una sorta di luogo all’aperto, con i tavoli, tipo Mc. Donald’s, mi rendo conto che al tavolo accanto al mio c’è una ragazza che sta morendo di cancro, è attaccata ad una flebo, è verde in viso e muore davanti ai miei occhi.

Tutti a tavola!

Sono nella cucina di casa mia (della quale in realtà posso riconoscere solo il tavolo tondo) e sembra essere il giorno di Natale. La stanza è piena di parenti e amici che ridono, chiaccherano e spizzicano qualche aperitivo….tutti aspettano allegramente un bel piatto di pasta fatta in casa! Guardo il mio ragazzo che è già seduto a tavola ed inizia a passare i piatti fumanti agli altri commensali; poi mi giro e vedo tre miei amici (di tre periodi diversi della mia vita) che sono seduti un pò distanti dal resto degli ospiti; allora li chiamo ed uno ad uno li invito a mangiare con noi, pregandoli di rimanere. Sono felice del fatto che abbiano accettato e….accidenti, solo ora mi accorgo che dovrebbe essere dicembre ma fa proprio caldo e ho le maniche corte!