Tra moto e ragnatele

Chiacchiero con due ragazzi poco più che ventenni. Mi dicono di preferire la moto allo scooterone. “Perché sprecare degli anni preziosi della propria vita a guidare uno scooterone? Allora ho deciso di prendermi la moto.” Afferma il ragazzo che ho di fronte, seduto ad un tavolo da pic-nic insieme a noi. Ci alziamo. Loro prendono le moto, io il mio Vespone. Loro sono incuriositi dal mio mezzo (mezzo: a metà, tra scooterone e moto). Mi accorgo che sono in riserva di olio ma mi dico che a breve farò benzina e rabboccherò l’olio. Non trovo più i ragazzi. Mi fermo a cercarli nel locale lì vicino, una specie di paninoteca/locale anni ’50/’80. Subito dopo sono nella mia vecchia casa e capisco di dover stare lì per un po’, vista la situazione legata al Coronavirus. Non sono particolarmente contento di stare nella mia stanza e me ne stupisco, avendo sempre ritenuto quella casa l’abitazione dove avrei voluto poter tornare almeno una volta ancora. Disinfetto delle ragnatele e mi accorgo che c’è un ragno dietro alla scrivania.

La Lambretta verde e la Vespa rossa

Sto guidando una Lambretta colore verde acqua; dietro di me c’è T.D.

Al semaforo dell’incrocio tra viale Regina Margherita e via Salaria si affiancano a noi due ragazze su di una Vespetta 50 di colore rosso. Appena arriva il verde partiamo in maniera bizzarra, sfrizionando un po’, nella speranza che le due ragazze ci notino. A metà dell’incrocio però  il filo dell’acceleratore della nostra Lambretta si rompe. Anche le due ragazze sembrano avere problemi con la loro Vespa che improvvisamente si ferma accanto al nostro veicolo.

Accostiamo al bordo della strada.

Io e T.D. ci diamo da fare per sistemare il nostro mezzo e quello delle ragazze.

Inclino la Lambretta ricordandomi di ciò che tanto tempo fa mi ha insegnato mio padre. Giro, quindi, di 180 gradi la levetta della benzina prima di cominciare a lavorare affinché il motore non si ingolfi durante la riparazione.

Rivolto completamente la Lambretta guardandone l’interno dalla parte bassa. Mi accorgo che quella non è la posizione migliore. Inclino allora  in modo leggero lo scooter e comincio ad aggiustarlo smontando le  “chiappe” o “pance” laterali. Smonto quella di sinistra e non trovo il cavo dell’acceleratore; smonto quella di destra e mi accorgo che il cavo, totalmente diverso da un cavo reale, è nero e di plastica e si è staccato dal suo consueto alloggiamento.

Aggiusto con facilità la Lambretta mentre T.D. si occupa della candela della Vespa rossa. Io e T.D. facciamo ipotesi sul malfunzionamento della Vespa utilizzando cacciaviti che le ragazze conservavano all’interno del vano sottosella.

Nel sogno compare improvvisamente Cico che sembra avere bisogno di un aiuto, quasi servisse anche a lui una revisione di alcune parti anatomiche. Smonto così due tappini di plastica che si trovano sulle sue spalle, esattamente all’alltezza di due nei che ho da quando sono nato. Uno dei tappini contiene un po’ di terra. Pulisco e risistemo le parti in plastica trasparente poste sulle spalle di Cico.

Io e T.D. siamo soddisfatti delle capacità acquisite nel tempo di aggiustare e sistemare veicoli a motore e parti del corpo.

Lontano da Roma

Sto viaggiando in sella alla mia Vespa lungo una strada di campagna. Intorno a me solamente campi verdi. Comincia a fare sera e il vento aumenta. Sento freddo e inzio a pensare che presto dovrò fermarmi per coprirmi con una sciarpa colorata che da tempo è rimasta nel cassetto anteriore del mio veicolo.

Arrivo in un paesino e mi fermo a chiedere informazioni ad una signora: “Mi scusi… io dovrei tornare a Roma, mi saprebbe indicare la strada?”. La Signora, in maniera molto gentile, mi spiega in che direzione andare e quale via prendere. Mi stupisco della sua gentilezza e ringrazio sentitamente. La Singora risponde: ” Di niente, ma le pare! Torni presto a trovarci!”. Guardo un’altra donna vicino a me e mi chiedo se anche lei sia così gentile. Mi fermo a considerare il fatto che avrei anche potuto decidere di fermare un’altra persona e che probabilmente non avrei avuto la stessa fortuna.

Mi dirigo dalla parte indicatami e appena arrivo alla fine del paese mi accorgo di non riuscire comunque ad orientarmi bene. Domando ad un gruppo di persone della mia età come fare a tornare a Roma e ricevo indicazioni veloci da un ragazzo alto, con la barba, gli occhiali ed un cappotto blu.

All’improvviso mi trovo davanti ad un palazzo con una grande porta a vetri. Scendo dalla Vespa ed entro nell’edificio.

Davanti a me c’è un ascensore in plastica bianca che invece di salire in verticale scivola lungo il pavimento e, seguendo una forma a spirale, permette ai passeggeri di visitare i tre piani della struttura. Salgo sull’ascensore e mi ritrovo in pochi secondi al primo piano. Capisco di essere entrato in un ospedale. Trattengo il respiro per la paura di contrarre malattie e aspetto di raggiungere il terzo piano.Molte infermiere vestite di bianco sono impegnate ad aiutare una grande quantità di pazienti gravi ed anziani.

Vedo aghi, barelle, medici e pazienti mentre cerco di farmi piccolo piccolo e di aderire alle pareti dell’ascensore per non essere visto.

L’ascensore si ferma davanti ad un ufficio delle Poste Italiane. Decido allora di prendere un po’ di soldi visto che il mio portafoglio è vuoto. Inserisco la carta prepagata e il bancomat me la ritira. Dalla fessura dove ho inserito la carta esce un piccolo quadratino di carta con sopra scritta la cifra 21. Affranto, rimango immobile davanti al bancomat fuori servizio. L’ufficio è chiuso perchè è notte e so di non avere tempo per tornare la mattina successiva a riprendere la carta.

Improvvisamente dal bancomat cominciano ad uscire pacchetti di sigarette, accendini, cartine e merendine. Decido di approfittare del malfunzionamento del bancomat e di raggiungere un grande cornetto caldo alla crema che è rimasto incastrato nella fessura. Lo prendo e comincio a mangiarlo. Il sapore non è buono e, nauseato dalla dolcezza della crema, decido di buttarlo.

In quel momento giungono nell’ufficio postale due impegate passate di lì per caso. Spiego loro di aver perso la mia prepagata e di aver trovato il bancomat rotto. Celo il mio imbarazzo per aver rubato il cornetto e dichiaro di aver assistito passivamente alla scena del bancomat che sputava oggetti.