Velocità

Inizia che mi sveglio da un sonno profondo e non capisco subito dove sono. Ma in un attimo metto insieme i dettagli e connetto logica ed emozioni: dentro un’auto bassa bassa e molto spartana, da corsa ma tipo go-kart, lamiera. Velocissimo sotto di noi il nastro di asfalto nero della pista. Se allungassi il braccio fuori potrei toccarlo e penso (e immagino la scena) all’abrasione che mi consumerebbe mezzo braccio in un nanosecondo pulp. Paralizzata e schiacciata. Un rumore frastornante. L’auto è verde Kawasaki (so che ne avevamo parlato un paio di giorni prima), colore che non mi piace e gliel’ho detto. Il poggiatesta con dietro quella semi-ogiva che fa tanto auto sportiva, sempre verde. Non c’è tetto, se la pressione non me lo impedisse saprei che sopra c’è sole e cielo azzurro. Forse c’è un rollbar. Andiamo alla velocità della luce verso un cavalcavia. Sono terrorizzata, non sono io a guidare, ho freddo, sono assordata, non ho il controllo, vorrei urlare ma l’aria contro non fa uscire la voce. Finalmente trovo il coraggio per voltarmi e guardare chi guida, se qualcuno guida. Giro la testa, lo vedo, mi sorride rilassato e a suo agio, allunga la mano destra sul mio ginocchio e io improvvisamente mi sciolgo, sento la paura andarsene e lo starbene che si fa un giro in tutte le mie vene.

Luogo di lavoro

Sono in un grande appartamento posto al primo piano. Sembra essere un luogo di lavoro, una struttura da poco restaurata. Sono il proprietario/responsabile e mi aggiro per i vari locali controllando che i lavori siano stati eseguiti nel migliore dei modi.

Incontro Fabio, un mio amico architetto, il quale sembra molto affascinato da un contenitore in plastica arancione lasciato dagli operai  che hanno ristrutturato gli ambienti. E’ un contenitore che, già da un po’ di tempo (nel sogno), avevo deciso di dare ad un papà per l’educazione di suo figlio. Fabio mi chiede di regalargli l’oggetto. Ne ammira le caratteristiche evidenziandone i pregi e facendomi notare la qualità del design. Curve morbide, materiali recentemente scoperti, superfici liscie ed elementi porosi caratterizzano l’oggetto.

Io parlo con Fabio trattandolo come il papà al quale ho deciso di dare il contenitore. L’oggetto, dico, è perfetto per contenere la giusta quantità di latte per una crescita equilibrata del figlio. Il contenitore così potrà servire da limite per il papà che, con difficoltà, regola l’intensità delle emozioni riversate sul bambino e con facilità, anche nei momenti meno opportuni, tende ad eccedere nelle manifestazioni d’affetto.

Mi accorgo che Fabio non capisce; decido allora di spiegarlgi con chiarezza che, già da tempo, avevo deciso di regalare il contenitore ad un papà per aiutarlo nel difficile compito dell’educazione di un figlio.

Fabio allora mi chiede di fare un giro per vedere l’esito dei lavori. Decido di mostrargli per prima cosa una culla che, chiusa attraverso incastri e meccanismi sapientemente progettati, si apre davanti ai nostri occhi grazie ad alcuni miei abili e precisi movimenti, appresi di recente grazie alle spiegazioni dei tecnici del cantiere.

Dentro la culla ammiriamo, quasi fosse un presepe, un paesino innevato nel quale domina una tranquilla atmosfera natalizia. Ogni cosa sembra avere vita propria e la chiusura così sofisticata, difficile da aprire per una mano inesperta, sembra essere stata progettata per proteggere il mondo prezioso in miniatura che, nella culla, pulsa di vita e di energia propria.

Dopo aver richiuso l’oggetto Fabio, estasiato dalla bellezza dei lavori, ammira una piramide al centro di una stanza. Notiamo inoltre che una parete è stata abbattuta per permettere di accedere ad un piano inclinato che porta alla piramide. Saliamo quasi per gioco sul piano inclinato e ci affacciamo alla finestra a vetri sopra la piramide.

Una vasta distesa di verde si estende davanti all’edificio.

La visita ai locali è terminata e Fabio, abile architetto, mi fa i complimenti per l’intervento professionale ed estremamente creativo che ho fatto eseguire per migliorare il mio luogo di lavoro.