Campagna, casolare, lieve discesa che porta ad un fiumiciattolo. So che ha piovuto parecchio quindi non mi stupisco di trovarlo gonfio d’acqua. Anzi, ne sono contento, anche perchè più acqua c’è più pesci ci sono. Ed infatti di lì a poco vedo sfrecciarne uno di dimensioni ragguardevoli da una parte all’altra del corso d’acqua. “E’ uno storione!” grido… Mi brillano gli occhi e so che sarà un gioco da ragazzi catturarlo. Il paesaggio è molto bello, l’acqua del fiume è di un colore fantastico, con le tipiche sfumature azzurrine che si possono notare nei paesaggi artici ghiacciati. L’aria è fresca e le chiome degli alberi lasciano filtrare qulche raggio di sole. Mentre mi godo il paesaggio inizio a vedere con la coda dell’occhio delle cose a mezz’aria… sono pesci che volano… No… saltano per l’esattezza, a formare delle parabole. La cosa in sè non mi stupisce più di tanto. Quello che mi lascia un po’ perplesso è invece la presenza, sui fianchi delle bestiole, di due piccole manine blu del tipo di quelle che si trovano nelle patatine, che lanci al muro e si appiccicano… Ad ogni modo… ad un certo punto uno di questi pescioni, durante la fase discendente della sua bella parabola, mi si appiccica addosso. L’impatto è abbastanza forte. Abbasso lo sguardo e noto che sta ciucciando la mia pelle con una protuberanza fina fina che gli parte dalla bocca… Non provo alcun fastidio o dolore. La cosa mi incuriosisce e decido di fargli una foto col telefonino per farlo vedere al mio compagno di pesca R.T.. Il pesce è ora sul mio braccio sinistro che metto prontamente nella posizione più adatta affinchè riesca a ritrarre l’intero animale. A voler essere precisi, il braccio è nella calssica posizione di chi vuole dare un’occhiata al proprio orologio per sapere che ore sono. Scatto la foto ma quando la vado a vedere noto che è notevolmente diversa da come sarebbe dovuta essere. Nella foto infatti mi trovo in una sorta di laboratorio di chimica con i tipici banconi pieni di strumenti e provette e il pesce si vede malissimo… vorrei scattarne un’altra ma il pesce se n’è andato…
Mi giro di nuovo verso il fiume e sulla sinistra scorgo lamia bella macchina nuova. E’ leggermente infangata ma non me ne curo. Decido però di spostarla e noto che è posizionata veramente troppo vicino all’acqua. Quando mi sposto dal lato del conducente, prima di aprire lo sportello noto la presenza di parecchia gente che sta popolando le azzurrine acque. La mia attenzione si sofferma in particolar modo su tre bambini che stanno sguazzando felici. Uno di loro, un maschietto con i capelli rasati, tiene in mano una canna da pesca veramente troppo corta e lancia in continuazione l’esca al centro del fiume. Un attimo dopo me li ritrovo di fronte. Uno di loro è ricoperto di peluria dello stesso colore blu dei pesci con l’aggiunta di alcune strisciate verdine…
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Alla ricerca del giusto assetto
Sto montando un cavallo a pelo. Non so bene dove mi trovo, è tanto che non monto, mi sento goffa e impacciata.
Sono alla ricerca del giusto assetto, il cavallo è come se avesse percepito le mie sensazioni, la sua andatura è lenta e calma, tutto ciò mi da sicurezza e pian piano mi posiziono nella giusta maniera.
Gira la testa verso il mio piede e lo lecca, mi accorgo così di non calzare neanche gli stivali, sono scalza e sento la sua lingua calda, è una sensazione bellissima, ed è un animale dolcissimo e buono.
Edward Norton versione Tootsie
Ero al cinema con la mia amica R. e altri, per vedere non so che film, ma comunque uno a cui tenevamo molto. C’era tantissima gente che saliva le scale. C. arrivava con la madre e altre persone, presumibilmente amici dei genitori, e andava a sedersi in galleria.
A un certo punto, mentre stavamo in una specie di sala d’attesa molto simile a un’anticamera della mia vecchia università, spuntava fuori Edward Norton vestito da donna (in modo imbarazzante, un po’ come Dustin Hoffmann in Tootsie. Ciononostante, rimaneva sempre Edward Norton), fischiettando un tema molto famoso (ma sul momento non ricordavo quale fosse). Io, R. e gli altri sapevamo che avrebbe dovuto cantare la colonna sonora di Rushmore poco dopo sul palco. Lui, che chiacchierava con altri sulla porta, mi chiamava e mi dava dei fogli raccolti in una busta trasparente, con un elenco di titoli scritto a mano, e mi diceva che probabilmente avrebbe cantato due canzoni. Io lo guardavo e gli dicevo una frase stupida, da fan idiota, tipo “Sposami”. Poi tornavo da R. e dagli altri e raccontavo la cosa in maniera ancora più stupida, così ridevamo tanto (in pieno stile Sex and the City) e ci dicevamo che non vedevamo l’ora di sentire Norton cantare.
Poi salivamo delle scale (c’era ancora tanta, tanta gente che cercava di raggiungere i posti) e qualcuno diceva che c’erano dei gadgets del film a disposizione, e io urlavo “Adoro i gadgets!”.
Nonostante la confusione, ci ritrovavamo al bar del cinema, piuttosto cupo, vicino la galleria. C’era di nuovo C. (ma forse c’era anche prima, probabilmente era stato lui a dirmi dei gadgets) seduto a un tavolino, che mi faceva notare che dicevo spesso cose “allucinanti” e che lui non diceva niente, però mica potevo fare sempre così, e io, guardando tutta quella gente che affollava il cinema, capivo che aveva ragione, che parlavo parlavo parlavo, stavo sempre a parlare, parlavo veramente troppo, e alla fine gli chiedevo scusa e mi sentivo in colpa.
A quel punto mi ricordavo di avere in mano una busta molto grande con dei gelati confezionati che dovevano servire in seguito. Mi chiedevo chi li avrebbe mangiati, e pensavo che non si potevano buttare via, e che avremmo dovuto costringere tutti a mangiarli, anche perché non erano tanti, giusto 5 o 6, e noi eravamo di più.
Subito dopo io, R. e gli altri decidevamo di fare un giro in elicottero, dal momento che ne trovavamo uno molto bello e molto grande lì vicino, proprio accanto al balcone della salagiochi del cinema. All’inizio salivo io, ma poi mi rendevo conto che c’era un po’ di gente, tra cui la madre di R. e un ragazzino che non conoscevo. Sull’elicottero (bianco, ma con dettagli colorati) c’erano diverse cabine, per 2 o 4 persone, aperte, senza protezione, e in volo bisognava stare sdraiati e aggrappati a dei tubi di ferro.
Mentre volavamo lì intorno (il panorama era bellissimo, giravamo intorno a una ruota panoramica, il paesaggio era collinare), mi rendevo conto di star seduta, e di non avere paura dell’elicottero. Quindi facevo tutta una serie di considerazioni tra me e me sulla sicurezza degli elicotteri e sul fatto che la percentuale di incidenti in elicottero fosse minore rispetto a quella degli incidenti in aereo, e intanto mi accorgevo che ce ne erano altri che volavano lì vicino.
Intanto iniziavamo a vedere (forse in un monitor) Edwart Norton e Ben Stiller che vestiti da donna (Ben Stiller aveva la tuta rossa del film “I Tenenbaum” e la stessa capigliatura) iniziavano a cantare in italiano (Norton aveva qualche difficoltà a ricordare le parole, e leggeva il testo, doveva aver recuperato i fogli che mi aveva affidato prima).
La canzone era inedita e a un certo punto mi rendevo conto che si trovavano anche loro due su un elicottero.
Cercavo di sentire bene le parole della canzone e di capire se mi piacesse o meno, e intanto atterravamo per tornare al cinema. Edward Norton e Ben Stiller si trovavano probabilmente sul nostro stesso elicottero, stavano scendendo anche loro, continuando a cantare, seguiti dalle telecamere.
Noi correvamo di nuovo verso il cinema, e la madre di R. diceva che avevamo perso esattamente 7 minuti di film in questo modo, ma io pensavo che non era stata colpa mia se avevamo fatto quel giro (perché supponevo che me lo stesse rimproverando), che di certo non avevo obbligato nessuno (neanche sapevo che lei fosse lì, dopotutto), e che tutto sommato c’eravamo divertiti da morire, dal momento che sentir cantare Edward Norton in italiano volando su un paesaggio così bello non capitava tutti i giorni.
Poi qualcuno diceva che in realtà avevamo perso troppo tempo nel sentire il racconto che riguardava una specie di mostro, una via di mezzo tra un dinosauro e un’aquila, che stava appeso sulla veranda di una casa colonica che si trovava proprio lì di fianco. Io non mi ricordavo niente di tutto ciò, e non capivo se a raccontare quella storia fosse stata la madre di R. o forse un’altra signora che viveva lì, ma sentivo che alla fine si diceva che, com’era prevedibile, mentre eravamo sull’elicottero avevano rubato una parte dell’animale, forse una zampa o un’ala.
A quel punto tornavamo al cinema dalla scala antincendio.
L’uomo dal golf di lana cotta
Scendo dalla macchina con V. e N. in una strada senza uscita in una zona di Roma deserta, ma soprattutto a me sconosciuta.
Esce da una baracca un uomo alto, grosso, brutto con la pancia…indossa un grande golf di lana cotta…mi guarda, mi fissa intensamente… e’ inquietante ed io mi giro, impaurita, ed accelero il passo…V. mi dice di correre perche’ dobbiamo assolutamente allontanarci dall’uomo con il golf arancione…ho paura, ma alla fine mi rendo conto che non sono poi cosi’ in pericolo…l’uomo ha il passo molto lento, e’ molto grasso…ha la pancia ed io sento di essere piu’ veloce di lui, lo so e mi tranquillizzo… ma V insiste e mi dice di camminare piu’ velocemente e di raggiungere al piu’ presto la pizzeria dove dobbiamo cenare, mi giro e incrocio nuovamente lo sguardo dell’uomo dal golf di lana cotta…si comincia a spogliare, si leva il maglione, e poi la camicia, rimane in canottiera e mi parla, ma io non lo capisco…scappo arrivo nella piazza dove c’e’ la pizzeria e lui inciampa e cade a terra, ma si rialza subito e mi fissa nuovamente, allora mi accorgo che in mezzo alla strada ci sono dei cartoni, delle scatole, insomma una mezza discarica abusiva…vedo una sedia… quelle impagliate con lo schienale tondo…l’afferro e comincio a guardare fisso negli occhi l’uomo che chiaramente mi vuole far del male, lo sfido e scateno tutta la mia rabbia, la mia paura su di lui.
Con la sedia lo colpisco sulla pancia, cade a terra….ed ecco che si trasforma in orso, la sua pancia adesso e’ nera e pelosa, mi fermo e mi dico non gli posso fare male… che devo smetterla di colpirlo…e’ un animale…