La nonna e il motorino

Entro nella casa di mia nonna. E’ aperto. Trovo mia nonna che dorme seduta al tavolo in formica azzurra della sala da pranzo. La sveglio. Decido di non dirle che avrebbe dovuto controllare che le porte fossero chiuse per evitare che entri qualche malintenzionato. Andiamo nella sua camera da letto. Lei è dietro un muro. Le chiedo: “Nonna, cosa stai facendo”
E lei: ” Mi cambio”.
Aspetto qualche istante poi, quando lei esce dalla stanza e mi viene incontro la abbraccio e le dico che le voglio bene. E’ un abbraccio calmo e silenzioso, affettuoso e denso di significato.
Esco e vado a riprendere il motorino che avevo precedentemente portato dal meccanico. Nel frattempo so che devo tornare a Roma e che non ho fatto preventivamente il biglietto.
Hanno sistemato bene la centralina del motorino. Chiedo di controllare che lo sterzo in asse ma mi dicono che non si puó fare. Dopo una mia blanda insistenza mi dicono di rivolgermi ad un signore straniero che, nel frattempo, sta pulendo, dopo averli smontati, gli ammortizzatori.

Natale in Corsica

Sono per strada. Una strada di campagna, che mi ricorda vagamente quelle che ho visto nell’entroterra cubano. Salgo su un autobus color celeste chiaro a forma di barca con le ruote, lungo circa quanto un vero autobus. Con me ho uno zaino enorme, gonfio di roba. Mi seggo accanto ad una famigliola con cui scambio quattro parole ma ho quasi subito la sensazione di aver preso l’autobus sbagliato. Mi ritrovo di nuovo per strada, di fronte alla porta frontale e chiedo al conducente informazioni sula destinazione del suo mezzo di trasporto. Mentre mi risponde noto una targa affissa su un fianco del suo gabbiotto e capisco che quello è l’autobus per la Sardegna. Quello che devo prendere io è subito dietro a questo.
E’ il 24 di Dicembre. In uno stanzone abbastanza grande, sto aspettando, in mezzo ad un bel po’ di altre persone, di imbarcarmi sul volo che ci porterà in Corsica per le vacanze di Natale…
Indosso un piumino nero e lungo. Sono abbastanza euforico all’idea del viaggio. Infilo la mano sinistra nella tasca sinistra dei jeans per prendere il cellulare ma non lo trovo. Inizio a tastarmi tutte le tasche ma niente cellulare. Vado nel panico. Dopo poco lo trovo (non ricordo dove) e, felice di averlo ritrovato, mi butto a terra dalla contentezza, a pancia in giù, e inizio a baciare lo schermo del telefonino… Forse gli dico pure qualcosa…
Mi rialzo e noto che i passeggeri iniziano ad avviarsi verso il tunnel, di stoffa beige, che condurrà loro e me all’aereo. Un tipo, che indossa un giacchetto beige, commenta dicendo “Meno male che hanno fatto questo tunnel eh… prima era tutto all’aperto.”. D’altronde è inverno e se non ci fosse stato ‘sto tunnel avremmo tutti sentito del gran freddo…
Percorso il tunnel ci ritroviamo in un altro stanzone dalle sembianze di una classica biblioteca. Tanti scaffali in legno di castagno ospitano altrettanti libri di ogni sorta. Di fronte a me un tavolo lungo a cui sono seduti i compagni di viaggio. Deduco sia la sala d’attesa, dove i passeggeri possono procurarsi delle letture da portare sull’aereo. Vengo attratto da una vetrinetta appesa al muro piena di libri e fumetti di chiara provenienza orientale. Commento dicendo “Ammazza quanti libri giapponesi!” ragionando poi sul fatto che sono quelli che viaggiano di più in assoluto, giustificando così la grande fornitura di letture nipponiche…

Il tubetto di dentifricio & Co.

Seduto ad una scrivania, nell’appartamento di N.P, di fronte a me un monitor di un computer. Cerco un dentifricio per potermi lavare i denti. Ne trovo uno e lo compro (dove non si sa). Appena lo apro mi accorgo che ce n’era già un altro aperto, appeso ad una mensola di legno. Resto colpito positivamente dal modo in cui N. lo ha appeso ad un gancetto, infilato nella parte piatta posteriore del tubetto, a testa in giù. In questo modo basta aprire il tappo e premere per depositare del dentifricio sullo spazzolino. Il tubetto è di un bel giallo ocra. Quello che ho comprato io è tendente al blu. Appendo il mio tubetto alla mensola accanto a quello già presente.
Nell’altra stanza dell’appartamento c’è delle gente. Forse mi trovo lì per una festa. Ma la sensazione che ho dentro mi suggerisce che il resto delle persone presenti si stia preparando per uscire. O forse sono io che so che dovrò uscire di lì a poco. So che c’è un concerto a cui vorrei partecipare.
Dietro di me una finestra. Mi affaccio, c’è una piscina condominiale illuminata. E’ notte e l’effetto che fa è molto piacevole. Il tipico colore celeste delle piscine si staglia nell’oscurità del giardino condominiale.
Mi ritrovo di nuovo alla scrivania, che è sistemata in uno degli angoli della stanza. Alla mia sinistra il muro che confina con l’appartamento adiacente. Anche il muro è giallo. Sento delle voci. Appoggio l’orecchio al muro per ascoltare. Nel frattempo mi viene in mente che l’appartamento di N. sia quello e non questo in cui mi trovo. Inotlre mi rendo conto di stare nella casa di G. a San Quirico.
Accanto a me ora ci sono due ragazze. Si stanno preparando per uscire, una di loro è K.L.. Le rivolgo la parola, le faccio una domanda. La sua risposta è “Eh… è perchè ti puzzano le ascelle.”. Le rispondo a tono dicendole “Sempre meglio le ascelle che il culo.”.

Ho anche sognato che avevano arrestato mio suocero…

Prima di mettermi a letto, invece, mi sono addormentato sul divano dove ho sognato di guidare un pullman/camion bianco su una strada sterrata a tutta velocità, non curante di tutto quello che trovavo sul mio cammino. Tutto quello che ricordo è che pestavo l’acceleratore in maniera esagerata e travolgevo qualsiasi cosa trovassi sulla strada.

Tre brutti sogni

Sto camminando in un bosco fitto con alberi alti e con me c’è Fabri, ad un certo punto vedo un materasso abbandonato e sopra c’è il mio cane Diavolone con un altro cane nero che non conosco e che non sembra in salute. Mi avvicino al materasso e vedo che Diavolone ha l’attaccatura della coda tutta ferita e gonfia. Diavolone mi parla come se fosse umano e, riferendosi all’altro cane, dice: “Ma se lo porto dal veterinario credi che mi farà pagare la medicazione per la mia coda?”. Io sento un terribile nodo alla gola e penso che, povero cane, si trova in difficoltà e sta cercando un modo per farsi medicare ma non sa come fare. Mi rivolgo a Fabri e gli dico che li porterò io dal veterinario.

Cambia scena e mi trovo a Piazza S Pietro ma il colonnato invade l’intera piazza come se fosse un bosco di colonne altissime che sorreggono una tettoia, ognuna sostenendola con un grosso bullone. In alto ci sono degli operai e io domando cosa stiano facendo. Mi rispondono che devono spostare l’intera struttura due metri più a destra, svitando tutti i bulloni in cima, spostando le colonne altissime e rimettendo la tettoia. Io alzo di nuovo lo sguardo verso la sommità è penso che sarà una manovra lunghissima, pericolosa e senza speranza di riuscita. Appena finisco il pensiero vengo colta da un brivido di vertigine (per quanto stanno lavorando in alto gli operai) e poi ho un conato di nausea.

Cambia scena e sto salendo una lunghissima scala piatta (tipo per le carrozze) che si snoda come un serpentone sotto il cielo aperto. Davanti a me sta salendo un uomo basso, più basso di me ed io, che porto in mano una borsetta da sera, lo colpisco violentemente alla testa con questa e poi, con un gesto rapido, mi metto davanti a lui e gli do un pugno in viso e resto con la guardia alta. Mentre faccio tutto ciò mi dico che sarà un gioco da ragazzi batterlo perché è pur vero che io sono una donna ma lui è un uomo basso e quindi sarò più forte io.