Il tubetto di dentifricio & Co.

Seduto ad una scrivania, nell’appartamento di N.P, di fronte a me un monitor di un computer. Cerco un dentifricio per potermi lavare i denti. Ne trovo uno e lo compro (dove non si sa). Appena lo apro mi accorgo che ce n’era già un altro aperto, appeso ad una mensola di legno. Resto colpito positivamente dal modo in cui N. lo ha appeso ad un gancetto, infilato nella parte piatta posteriore del tubetto, a testa in giù. In questo modo basta aprire il tappo e premere per depositare del dentifricio sullo spazzolino. Il tubetto è di un bel giallo ocra. Quello che ho comprato io è tendente al blu. Appendo il mio tubetto alla mensola accanto a quello già presente.
Nell’altra stanza dell’appartamento c’è delle gente. Forse mi trovo lì per una festa. Ma la sensazione che ho dentro mi suggerisce che il resto delle persone presenti si stia preparando per uscire. O forse sono io che so che dovrò uscire di lì a poco. So che c’è un concerto a cui vorrei partecipare.
Dietro di me una finestra. Mi affaccio, c’è una piscina condominiale illuminata. E’ notte e l’effetto che fa è molto piacevole. Il tipico colore celeste delle piscine si staglia nell’oscurità del giardino condominiale.
Mi ritrovo di nuovo alla scrivania, che è sistemata in uno degli angoli della stanza. Alla mia sinistra il muro che confina con l’appartamento adiacente. Anche il muro è giallo. Sento delle voci. Appoggio l’orecchio al muro per ascoltare. Nel frattempo mi viene in mente che l’appartamento di N. sia quello e non questo in cui mi trovo. Inotlre mi rendo conto di stare nella casa di G. a San Quirico.
Accanto a me ora ci sono due ragazze. Si stanno preparando per uscire, una di loro è K.L.. Le rivolgo la parola, le faccio una domanda. La sua risposta è “Eh… è perchè ti puzzano le ascelle.”. Le rispondo a tono dicendole “Sempre meglio le ascelle che il culo.”.

Ho anche sognato che avevano arrestato mio suocero…

Prima di mettermi a letto, invece, mi sono addormentato sul divano dove ho sognato di guidare un pullman/camion bianco su una strada sterrata a tutta velocità, non curante di tutto quello che trovavo sul mio cammino. Tutto quello che ricordo è che pestavo l’acceleratore in maniera esagerata e travolgevo qualsiasi cosa trovassi sulla strada.

Il water e il conducente

Sono nella zona di Trastevere insieme a mio figlio. C’è un water in mezzo alla strada. Sento lo stimolo a defecare e mi siedo. Accanto a me c’è mio figlio. Inizia a piovere e apriamo gli ombrelli. Mio figlio apre l’ombrello dell’Ape Maya. Ride perché la situazione è davvero buffa. Anche io rido con lui. Mi sento allegro e spensierato mentre rifletto sul fatto che non mi importa niente che gli altri mi vedano o che io mi possa sporcare sedendomi su un water che forse è stato usato da altri. Penso che a casa, con calma, mi laveró meglio.

Sono in un autobus di linea in una città del Nord. Come biglietti ho due bolli da 1,81. Il conducente viene da me per controllare i biglietti e mi dice che mi deve fare la multa. Gli dico che se proprio deve farmela la accetteó nonostante non lo ritenga giusto. Mentre si rimette alla guida comincia a parlarmi di cose sconnesse. Capisco che se lo ascolto non mi farà la multa.

Go-kart e jeans usati

Percorro su di una specie di go-kart la corsia di destra della Cristoforo Colombo in direzione San Giovanni. Sulle mie ginocchia e sul sedile del passeggero ci sono dei vestiti. Un paio di jeans scivola dalle mie ginocchia e cade dal veicolo. Penso di fermarmi, ma mi rendo conto che le macchine dietro di me mi impediranno di recuperare i pantaloni. Immagino le proteste dei guidatori bloccati dal mio tentativo di recupero e decido di lasciar perdere. La cosa mi stuzzica parecchio, sento il piacere di aver abbandonato un paio di pantaloni che in fondo non mi sono mai piaciuti. Decido allora di prendere anche i Levi’s alla mia destra e li lancio con forza dietro alle mie spalle. E’ una sensazione di alleggerimento davvero elettrizzante. Non so quando riuscirò a comprare un paio nuovo di jeans e non riesco neanche ad immaginare come saranno, ma mi sento felice e fiero di aver fatto un gesto ocmpletamente lontano dal mio modo di essere e di pensare.

Motorino

Sto guidando un motorino,  dietro con me,  porto qualcuno. Facciamo il viaggio d’ andata, al ritorno ho un po’ paura,  è piovuto la strada è bagnata. Il motorino è dotato di una specie di sacca, un po’ ingombrante, in cui si mette il gas, come carburante, la mantengo  con una mano, mentre guido. Ci fermiamo dal benzinaio,   è carino,   cerco di parlare per conoscerlo, gli chiedo a che ora chiude,  mentre riempie la sacca di gas,  dice presto perchè è venerdi’ e la settimana per fortuna è finita, la cosa finisce li e io penso chissa’ con chi esce. Andiamo via, ma forse torniamo.

Serial dream

Attentati alla vitalità

 
1) Sono in viaggio con i miei genitori. Prima guida mio padre, poi mia madre, alla fine decido di guidare io. A questo punto un agente di polizia mi ferma e mi contesta qualcosa di irregolare. Mi accorgo che non è molto lucido, protesto e rivendico il mio diritto a guidare. Non ricordo l’esito della discussione.
2) Faccio un esame, un concorso, per un nuovo lavoro. Mi bocciano.
3) Vado ad abitare in una bellissima casa nuova, grande, luminosa, con vista e accesso diretto sul mare. Sono molto contrariata perché mia madre ha insediato lì una donna dall’aria zitellesca, che mi ricorda la mia maestra delle elementari, bigotta e bacchettona, e non so come fare per liberarmene.

Ancora in viaggio

Sono con F., passeggiamo di notte in una specie di giardino o vivaio pieno di piante, anche di alto fusto. Fra noi c’è un rapporto affettuoso. Dobbiamo partire: verso Civitavecchia (per me legata alla mia prima infanzia, alla famiglia di origine e, negli ultimi tempi, in particolare a mio padre), oppure verso Rieti (città di un mio ex fidanzato col quale avevo fatto fantasie di matrimonio e che ho sempre sentito contrapposto a mio padre).

Usciamo dal giardino e ci avviciniamo alla macchina, è la vecchia Lancia Dedra di mio padre (la prima su cui mi ha permesso di mettere le mani, era molto geloso delle sue macchine, e lo sentii come un primo segnale del suo invecchiare).
A questo punto c’è una controversia su chi deve guidare: vuole farlo mio padre, ma io non mi fido della sua guida, è troppo vecchio; alla fine raggiungiamo una mediazione, lui guiderà all’andata (e in effetti lo fa con una certa perizia), ma io guiderò al ritorno. Partiamo, io, F. e mio padre: peccato che non sappia per dove!

Velocità

Inizia che mi sveglio da un sonno profondo e non capisco subito dove sono. Ma in un attimo metto insieme i dettagli e connetto logica ed emozioni: dentro un’auto bassa bassa e molto spartana, da corsa ma tipo go-kart, lamiera. Velocissimo sotto di noi il nastro di asfalto nero della pista. Se allungassi il braccio fuori potrei toccarlo e penso (e immagino la scena) all’abrasione che mi consumerebbe mezzo braccio in un nanosecondo pulp. Paralizzata e schiacciata. Un rumore frastornante. L’auto è verde Kawasaki (so che ne avevamo parlato un paio di giorni prima), colore che non mi piace e gliel’ho detto. Il poggiatesta con dietro quella semi-ogiva che fa tanto auto sportiva, sempre verde. Non c’è tetto, se la pressione non me lo impedisse saprei che sopra c’è sole e cielo azzurro. Forse c’è un rollbar. Andiamo alla velocità della luce verso un cavalcavia. Sono terrorizzata, non sono io a guidare, ho freddo, sono assordata, non ho il controllo, vorrei urlare ma l’aria contro non fa uscire la voce. Finalmente trovo il coraggio per voltarmi e guardare chi guida, se qualcuno guida. Giro la testa, lo vedo, mi sorride rilassato e a suo agio, allunga la mano destra sul mio ginocchio e io improvvisamente mi sciolgo, sento la paura andarsene e lo starbene che si fa un giro in tutte le mie vene.

Delitto e castigo

Sono seduta sul sedile di dietro di una macchina e davanti ci sono un uomo e una donna che sembro conoscere. Stiamo guidando lungo viale Trastevere e poi giriamo a destra e la strada ci porta in un paesino. Scendiamo e suoniamo ad una porta. Ci aprono una donna con la figlia adolescente, noi chiediamo dove sia il marito, lei ci indica un posto poco lontano. Raggiungiamo il luogo, troviamo l’uomo e lo uccidiamo (mi sembra strangolandolo). Risaliamo in macchina in silenzio ma io sono disperata perché so che la polizia risalirà a noi tramite la moglie e dovrò passare il resto della vita in carcere e ho così buttato la mia vita.

Cambia scena, sono a Londra, Bea mi dice che devo tornare a lavorare nella nuova sede della galleria JJ/WC (dove ho lavorato davvero) e che lei già lavora lì da un po’. Sono incerta ma salgo sulla metro per andarci. Quando scendo chiedo indicazioni ad una signora ma parliamo in francesce invece che in inglese e poi mi rendo rendo conto che anche i nomi delle vie e le targhe delle macchine sono scritti in francese. Allora mi dispero e mi rendo conto di essermi addormentata sulla metro e di aver attraversato il tunnel della Manica senza accorgermene.