Le lavandaie

Sono per strada nei pressi del mio posto di lavoro. Molto probabilmente in pausa pranzo, perchè sto cercando di decidere in quale bar andare a mangiare. Quello più lontano non l’ho mai visitato. Decido di farlo e mi metto a correre altrimenti farò tardi. Ai piedi ho degli zoccoli di legno che rallentano la mia corsa. Decido quindi di tornare indietro per andare all’altro bar. Dopo poco mi giro verso il bar lontano e mi rimetto a correre per raggiungerlo. Noto che si trova nello stesso punto dove sorge un gommista. Quest’ultimo aspetto mi fa desistere e torno indietro per la seconda volta.

Mentre costeggio le mura dell’ufficio, almeno 10 volte più grande di quello reale, sento delle voci provenire da un seminterrato. I locali lavanderia. Mi affaccio furtivamente e dietro ad un paravento color bianco sporco ci sono una signora rossa e una ragazza mora. Stanno chiacchierando del più e del meno. Mi intrattengo fuori della finestra nella speranza che inizino a spogliarsi. Faccio avanti e indietro come per rinnovare il mio passaggio casuale nei pressi della finestra fino a che la signora rossa si cala i calzoni mostrandomi il suo splendido didietro.

Da un’altra finestra un tipo coi baffetti mi guarda insospettito e poco dopo iniziano a farlo anche le due tipe nell’altro locale.

Decido di allontanarmi.

Mi ritrovo all’interno di un palazzo, sul pianerottolo del primo piano. In una rientranza sta seduta la ragazza della lavanderia. Ha i capelli neri e lisci, la frangetta ed è vestita di verde. Mentre mi avvicino mi mostra accidentalmente il seno. È minuto ma perfetto.

Una volta vicino alla ragazza mi faccio coraggio e le chiedo se vuole prendere un caffè. Lei dice di no. Le faccio notare che è la prima volta in vita mia che chiedo ad una ragazza di offrirle un caffè ma questa cosa non fa altro che aumentare il suo disagio.

Dal corridoio alla mia destra arriva con passo affrettato il tipo coi baffetti. Non mi fa domande ma si ferma di fronte a me. Cerco di dimostrargli che non ho cattive intenzioni. Mi rivolgo alla ragazza nella speranza che possa fargli capire che sono in buona fede. Le dico “Digli cosa ti ho chiesto” e lei gli dice che le avevo solo chiesto di prendere un caffè. Di seguito aggiungo, in maniera sufficientemente seria, “Non sono un molestatore”. Questa mia ultima affermazione sembra aver sortito l’effetto desiderato e io e il tipo coi baffetti scendiamo al piano terra.

Mentre scendiamo mi dice che non tutti sono sinceri come me (o qualcosa del genere). Ci ritroviamo all’entrata del palazzo, di fronte al portone a vetri. Mentre chiacchieriamo noto, guardando attraverso il portone, un tipo con la maglietta verde scura sdraiato in mezzo ad un incrocio. I passanti lo snobbano. Mi preoccupo per lui ma subito dopo si alza e se ne va.
Mi accorgo di avere pantaloni e boxer abbassati e mentre cerco di ritirarmeli su mi scuso con baffetto. Ridiamo, anche perché i pantaloni sono molto stretti e faccio fatica ad allacciarli. Mentre sono ancora mezzo denudato, sempre guardando attraverso i vetri del portone, noto un mio collega che si avvicina al palazzo. Penso si tratti di F.C.. Cerco di affrettarmi a rivestirmi per non farmi vedere in quelle condizioni. Il tipo entra nel palazzo, non era un mio collega.

La visita a casa del Dr. G.

D. ed io facciamo una visita al dr.G. Avvicinati al suo palazzo sembra essere arrivati davanti ad un negozio dentro ad un centro commerciale. L’unica differenza è che l’entrata ha un portone normale simile a quella di un condominio. Davanti casa sua vi è tanta gente che va in giro. Il dr. G. con la moglie , una signora alta e bionda, ci accoglie con un gran sorriso e ci fa accomodare dentro casa.

Entriamo e subito noto come la stanza sia piena di scaffali e cristalliere con molti oggetti, molti di questi antichi. Il dr. G. mi invita a scendere e vedere il piano inferiore così seguendomi mette una mano sul mio capo e iniziamo a scendere. Non scendiamo però lungo le scale, ma andiamo sopra un grosso geode di cristallo con molte facce e dal cui centro si irradiava una forte luce.

Nella discesa al piano inferiore noto che il tetto è ricoperto di specchi e vetri contenenti altri oggetti, tamburi, libri antichi, oggetti di cui non conosco ne l’origine ne il possibile uso, testimoni però di una conoscenza ancestrale ma ignota. Aspetto che scendano anche D. con la signora.

Eccoci al piano seminterrato. Una stanza molto simile alla prima ma con un vecchio tavolo ed una sedia al centro, sopra di essi una serie di catene, ed altri oggetti di ferro… La visita della casa continua e vedo girandomi con lo sguardo un balcone che dava su un esterno illuminato a giorno. Tuttavia il dr. G. mi invita a vedere un altra parte della stanza così vengo distolto da quel balcone… Mi affaccio così da un altro balcone e vedo un enorme mappamondo che pian piano modifica la sua forma: da sfera a piramide.

…Mi ritrovo da un altra parte con delle persone a guardare in una TV a tubo catodico di quelle con l’antennina e lo schermo bombato. Guardiamo e qualcuno commenta le immagini della sedia e del tavolo viste nella prima parte del sogno.

La lezione di storia

Mi trovo nell’ingresso del palazzo di casa dei miei genitori. Ci sono i banchi e le sedie di quando andavo al Liceo. Sto seguendo una lezione di Storia. Sono consapevole di non aver studiato nulla e aspetto con ansia la ricreazione. Dopo il suono della campanella tutti i miei compagni escono velocemente dal portone o salgono ai piani superiori del palazzo. Rimango da solo nella classe/ingresso convinto che il professore sia intenzionato ad interrogarmi nonostante l’ora sia finita.

 

Parola d’ordine

Mi trovavo con un accompagnatore davanti ad una scalinata molto ampia, che conduceva ad un edificio, forse un tempio. Questa persona mi precede e sale le scale e si dirige verso il portone spalancato. Io rimango giù e lo seguo con lo sguardo. Si presenta ad una guardia e dopo aver parlato con lei entra. Mi avvicino a questo punto pure io e il mio accompagnatore mi suggerisce mimando con la bocca la parola d’ordine. Non avevo capito bene la parola ma provo comunque…La guardia vestita con un uniforme gialla e blu, molto simile alle guardie svizzere, mi chiede la parola d’ordine, ed io: << …ehm tre …gazzelle…(erano quattro cavolo!e non ricordo il seguito)>> mi giro e mi allontano un momento cercando di ricordare: …eran quattro le gazzelle poi 3… qualcos’altro e quattro qualcos’altro ancora. Mi riavvicino ma anche stavolta niente, non riesco a ricordare. Ecco allora che il mio accompagnatore parla con la guardia. Riprovo nuovamente…anche stavolta niente da fare. Io non ricordo la parola d’ordine, ma la guardia a questo punto tenta di aiutarmi suggerendomi qualcosa e nel frattempo si sposta di poco dentro l’edificio ed io con lei… niente neanche con l’aiuto riesco a trovare la parola. Nel frattempo comunque si susseguono i tentativi della guardia di aiutarmi ed insieme ci spostiamo di stanza in stanza nel tempio… ero entrato!

L’ufficio-ospedale

Con mia grande sorpresa vengo a sapere di essere stato trasferito di stanza e la mia compagna di lavoro altri non e’ che una vecchia collega con cui ho lavorato all’inizio della mia vita lavorativa. Contento di cio’ mi industrio per sistemare la stanza, ridotta in uno stato pietoso, molto somigliante ad uno studio di un artigiano. Assi di legno qua e la appoggiate a terra e alle pareti, le sposto, di poco… Poi torno ad occuparmi della scrivania. E’ posta longitudinalmente ad una delle pareti corte della stanza, al suo centro, accanto a quella della mia collega ed un vetro divide me e lei. Sulla porta appare il mio vecchio responsabile di cui non ho un bellissimo ricordo e subito capisco di essere tornato a lavorare per lui. Faccio notare la mia scontentezza ed esco dalla stanza con passo affrettato per andare a reclamare non so bene da chi. Mi dirigo fuori dell’edificio percorrendo un corridoio lungo con pareti verdine; arrivo ad una stanza all’interno della quale intravedo una doccia in funzione e dietro al pannello di vetro appannato spicca un fondoschiena (notevole) di una ragazza con pelle leggermente scura. Mi avvicino e piu in la c’e’ un uomo grassottello con un camice da infermiere verde, mi vedono e cambio strada. Esco dal portone a vetri dell’edificio e davanti a me un enorme prato brullo con pochi alberi. Mi dirigo a sinistra sul marciapiede grigio e inizio a correre ma quasi subito le gambe si appesantiscono troppo e faccio fatica a mantenere l’andatura.