Salite e discese

Notte, strada di campagna illuminata da un lampione. Arrivo accompagnato dalla minore delle mie sorelle, seduto nella sua Mini verde. Dice che andrà da G.G., il fidanzato di mia cognata. La metto in guardia confidandole che è un tipo che ha molte donne. Lei non se ne cura e mi liquida dicendo “Io sono in cerca di un’avventura tecnica.”. La vedo andar via giù per una discesa.
Alla mia destra un ristorante. Scendo le scalette in tufo ed entro in cerca di mio padre che gestisce il locale. L’atmosfera è quella tipica dei ristoranti fuori città, poco frequentati. Ci saranno si e no tre o quattro clienti. Le luci ad incandescenza, le pareti gialline ed il pavimento in cotto contribuiscono ad una colorazione generale tendente ad un arancione molto accogliente. Mi dirigo verso un tavolino sgombro, posizionato ai piedi della TV a schermo piatto che trasmette qualcosa. Poggio sul tavolo un enorme oggetto somigliante a un candelabro dorato a tre posti, nella cui vaschetta centrale dovrà essere posizionata una bottiglia (presumibilmente di birra) per festeggiare non so bene cosa. Arriva mio padre e discutiamo sul posizionamento del candelabro.

Mi ritrovo fuori del locale pronto ad andare via. Entro nella mia piccola macchina, così piccola che alla fine non riesco proprio ad entrare. In mano ho delle buste di plastica bianca. Imbocco la strada da dove sono venuto e alla prima curva in discesa perdo il controllo e inizio a scivolare. Il me stesso scivolante si tramuta all’istante in una scarpa bianca e nera che continua la veloce corsa verso valle mentre il me stesso osservatore segue la scena dall’alto della discesa. La scarpa, giunta a valle, svolta a sinistra e sorpassa un cancello verde in ferro. Con calma la raggiungo.

Mi ritrovo in fondo alla discesa, in piedi su una di quelle reti a maglie romboidali. Per non cadere mi reggo ad un palo della luce. Ai miei piedi tre o quattro lupi percorrono un piccolo percorso delimitato dalle reti di cui sopra. Sono feroci.

Con un balzo raggiungo un percorso alla mia sinistra e comincio a correre. Un altro individuo corre insieme a me. Corro velocissimo, su una salita molto ripida. La strada è in asfalto grigio. La luna piena illumina me e il territorio circostante. Arrivato in cima alla salita mi si para davanti una discesa altrettanto ripida alla fine della quale c’è un’altra salita. L’individuo che correva insieme a me, durante la discesa si sposta verso destra, verso il bordo della strada, oltre il quale c’è un dirupo enorme. Non so che fine faccia ma il mio pensiero al suo riguardo prende il posto del sogno stesso e diventa storia. La storia del tipo che mi accompagnava nella corsa. E’ lui da giovane. È inginocchiato alla fine della strada che sto percorrendo. Il susseguirsi di discese e salite è terminato e alle sue spalle c’è un muro naturale di terra beige. Attraverso una serie di eventi di cui non ho un ricordo dettagliato capisco che ha subìto delle ingiustizie che giustificano i suoi comportamenti.

Cadere

Sono all’interno di un palazzo in via di ristrutturazione, polvere e odore di solvente contaminano l’aria. C’è il mio datore di lavoro che indaffarato da ordini agli operai . Decido di uscire da una porta anonima che mi porta su una terrazza fatiscente, posta all’apice di una collina. C’è una vista meravigliosa, il cielo limpido si tuffa nel mare creando un’armonia di colori . Vado a sedermi sul bordo mezzo diroccato di questa terrazza. Accanto a me c’è una donna che guarda il panorama, ha dei lunghi capelli bianchi raccolti in una treccia che le avvolge la testa. Mi guarda e mi chiede cosa voglio fare. Le rispondo che voglio solo guardare questo spettacolo.  Di lì a poco mi sento scivolare in avanti e precipito, lentamente la brezza mi da un’assetto e planandomi come un aeroplanino di carta mi porta verso la costa. Nel passare vedo campi coltivati che dal verde acceso passano al color sabbia della spiaggia. Prima di arrivare al  perimetro del mare riesco ad aggrapparmi ad un masso enorme. Nel penzolare mi rendo conto che questo non è un masso qualsiasi ma ha una forma. E’ un piede gigante. Dita grandi come palazzi  ricoperte di ferro. Sono atterrita dall’altezza ma non posso rimanere lì…! Prendo coraggio e come un free climber riesco a scendere. Mentre scendo con cautela vedo degli occhielli metallici che spuntano fuori. Mi fanno capire che io non sia la sola ad essere atterrata lì. Arrivo fino alla base del tallone ma lo spazio che mi separa dal suolo è troppo alto.  Decido di saltare, o la va o la spacca. Prendo un bel respiro e mi lascio cadere. Atterro facendo un capitombolo, illesa ma piena di sabbia mi siedo volgendo lo sguardo a questo mare a me sconosciuto.

Il Parkour solitario

E’ domenica. Sono in un cortile di un’autocarrozzeria. Ha da poco piovuto e l’aria è fredda.

Un ragazzo magro si sta allenando a compiere salti molto complessi e pericolosi da zone rialzate del cortile. Lo osservo mentre tenta un salto giro con mezzo avvitamento da un gradino alto un paio di metri. Il ragazzo sbaglia senza farsi male. Torna poi sul gradino per tentare un’altro salto.

Per non sembrare troppo invadente mi allontano di poco e comincio a correre sull’acqua tentando di scivolare lungo una piccola discesa alla fine del cortile, ma senza ottenere grandi risultati.

Penso che anche io potrei tentare qualche evoluzione, ma poi decido che non è il caso non essendo allenato ed essendo consapevole delle mie ormai limitate capacità atletiche.

Il ragazzo mi nota, smette di allenarsi e comincia ad osservarmi mentre tento di compiere improbabili scivolate lungo la discesa del cortile.

Improvvisamente ci troviamo sulla terrazza del Pincio a chiacchierare amabilmente in compagnia di Enrico che nel frattempo si è unito a noi.

Il ragazzo racconta di essere di Torino e di aver vissuto per anni in alcune città del nord dove, da molti anni, è in voga il fenomeno del Parkour.

Da pochi mesi vive a Roma e non ha ancora fatto amicizia con nessuno. Gli dico che è pericoloso allenarsi da solo perché c’è il rischio di farsi male e di non avere la possibilità di chiedere aiuto.