Il giardino

E’ tutto buio in principio. Lentamente la luce inizia a penetrare nella stanza attraverso le due immense finestre che sono alle mie spalle. E’ notte fonda , guardo davanti a me e appare un grande camino acceso sovrastato da un trofeo di caccia… mi arrampico incuriosita ed infilo la mano in bocca al cervo… estraggo 2 pistole, non sono recenti, a dir la verità tutta l’atmosfera sembra del 18° secolo. Nello scendere faccio cadere qualcosa che fa un rumore di vetri rotti. Scappo e mi dirigo verso il belvedere da dove si vede un giardino labirinto. Nell’ inseguimento mi affaccio e trovo una piccola botola dove riesco a nascondere una sola pistola, l’altra mi scivola e va a finire 6 m sotto di me… da lì mi sento tirare per la cintura e scaraventare dall’altra parte. Nel cadere mi ricordo una sagoma che mi guarda. Atterro e buio di nuovo.

Mi sveglio con una luce fortissima, sono dentro un ascensore di metallo che sale. Si aprono le porte e mi trovo all’interno di una stazione, una voce indistinguibile parla, figure colorate poco nitide mi sfrecciano davanti, c’è il classico orologio da stazione che segna un’ora indefinita. Ad un tratto mi trovo 2 uomini uno completamente bianco, l’altro completamente nero che mi sbarrano la visuale. Mi prendono per le braccia ed iniziano a trascinarmi indietro, dicendomi ” Cosa ci fai qui?! Non sei ancora pronta per questo”. Mi riportano all’ascensore e mi lanciano dentro.

Profumo di donna e parassiti sottocutanei

Sono ad un pranzo insieme a molte altre persone. I tavoli sono quelli che si potrebbero trovare ad una sagra e sono disposti un po’ alla rinfusa.
Siedo accanto ad una ragazza mora vestita di nero. So bene chi sia anche se nel sogno la somiglianza non è del tutto fedele. Mi avvicino al suo collo ripetutamente e in maniera furtiva per annusarne il profumo. Dopo aver rubato per due o tre volte la dolce essenza dal suo collo, noto un’altra ragazza vestita completamente di bianco, mora anch’essa, dall’altro lato del tavolo, che mi fulmina con lo sguardo e mi manda a quel paese mimando un vaffa con la bocca.
In quel momento mi ritrovo seduto a capotavola, con la testa abbassata, rivolta verso il pavimento. Accavallo la gamba sinistra sulla destra e noto un piccolissimo puntino di grasso sulla caviglia. Inizio a grattarlo con l’unghia del dito indice della mano destra per cercare di asportarlo ma più gratto, più il puntino diventa grande… E quando ha raggiunto le dimensioni di qualche millimetro, inizia a muoversi, proprio come farebbe un piccolo vermetto bianco. Rendendomi conto di cosa stavo ospitando sotto la pelle della mia caviglia, afferro con le dita la piccola sporgenza bianca e soda e tiro con decisione, ritrovandomi in mano un verme di qualche centimetro. Sorprendentemente non sento alcun fastidio o dolore e la cosa mi rincuora anche perchè quando osservo meglio il buco lasciato dal verme noto che dentro ce ne sono altri più o meno lunghi. Ne afferro un altro e lo tiro fuori. E poi un altro ancora, e ancora. Nella mano ormai ho cinque o sei vermi di varie grandezze e sulla caviglia un buco di qualche centimetro, senza più parassiti al suo interno. Non noto molto sangue.
Mi alzo dal tavolo e cerco di svicolare tra gli altri, perdendo l’equilibrio un paio di volte. Ho ancora i vermi in mano, devo farli vedere a mia madre, l’unica persona che ho in mente che possa darmi consigli sul da farsi. Mi rendo conto subito dopo che non c’è più ma la cosa non mi butta giù più di tanto e penso che sono grande abbastanza per cavarmela da solo.
Esco di scena, ho in mano un filetto di pesce la cui consistenza della carne somiglia molto a quella dello sgombro in scatola. Lo sto ispezionando in cerca di altri vermi.

Spaventato a morte

Sono in una cucina di una non ben identificata caserma militare e ci sono delle belle ragazze vestite di sole mutande nere. In seguito a quella che mi è sembrata una piccola esplosione una di loro viene scaraventata dall’altra parte della cucina andando a finire su una macchina a gas. Batte la testa sul muro ricoperto di piastrelle bianche e inizia ad avere dei tremori molto forti.

Da quello che posso apprendere come osservatore degli eventi i militari presenti nella caserma tentano di coprire l’accaduto cercando di eliminare la ragazza infortunata. Al successivo cambio di scena mi ritrovo, sempre come osservatore, in una stanza che può sembrare un magazzino vista la quantità di oggetti accatastati intorno a me. Nell’aria una canzone in perfetto stile italiano intonata da uno dei militari presenti nella stanza. Intuisco che le parole originali sono state alterate assumendo un tono di  inquietante scherno rivolto alla ragazza rinchiusa in un telo di plastica trasparente, su un  tavolo al centro della stanza. Tutto è illuminato da un cono di luce giallastra. La ragazza si dimena e maledice il militare canterino che rimane impassibile allo spettacolo di sofferenza della vittima.

Il successivo cambio di scena mi vede ancora come osservatore. Sono in una sorta di spogliatoio. Di fronte ad una fila di armadietti c’è il militare canterino. Sembra disorientato e spaventato da una qualche presenza che lo tormenta. Nel momento in cui si gira dalla parte opposta in cui stava guardando scorge la ragazza che aveva ucciso poco prima ed è in quel momento che prendo le sue parti e da osservatore divento protagonista della parte più spaventosa del sogno. La ragazza mi prende per la camicia e mi sbatte su un lettino iniziando ad imprecare cose non ben distinguibili fino a quando il suo viso, avvicinandosi sempre di più al mio, inizia a deformarsi. La sua bocca si allarga in maniera inverosimile e il suo interno è tutto nero. Più la trasformazione diventa orribile più le sue urla diventano forti e aggressive. Io vengo pervaso da una serie di brividi sempre più forti fino a quando uno di un’intensità mai provata mi colpisce al petto lasciandomi senza vita.

La Lambretta verde e la Vespa rossa

Sto guidando una Lambretta colore verde acqua; dietro di me c’è T.D.

Al semaforo dell’incrocio tra viale Regina Margherita e via Salaria si affiancano a noi due ragazze su di una Vespetta 50 di colore rosso. Appena arriva il verde partiamo in maniera bizzarra, sfrizionando un po’, nella speranza che le due ragazze ci notino. A metà dell’incrocio però  il filo dell’acceleratore della nostra Lambretta si rompe. Anche le due ragazze sembrano avere problemi con la loro Vespa che improvvisamente si ferma accanto al nostro veicolo.

Accostiamo al bordo della strada.

Io e T.D. ci diamo da fare per sistemare il nostro mezzo e quello delle ragazze.

Inclino la Lambretta ricordandomi di ciò che tanto tempo fa mi ha insegnato mio padre. Giro, quindi, di 180 gradi la levetta della benzina prima di cominciare a lavorare affinché il motore non si ingolfi durante la riparazione.

Rivolto completamente la Lambretta guardandone l’interno dalla parte bassa. Mi accorgo che quella non è la posizione migliore. Inclino allora  in modo leggero lo scooter e comincio ad aggiustarlo smontando le  “chiappe” o “pance” laterali. Smonto quella di sinistra e non trovo il cavo dell’acceleratore; smonto quella di destra e mi accorgo che il cavo, totalmente diverso da un cavo reale, è nero e di plastica e si è staccato dal suo consueto alloggiamento.

Aggiusto con facilità la Lambretta mentre T.D. si occupa della candela della Vespa rossa. Io e T.D. facciamo ipotesi sul malfunzionamento della Vespa utilizzando cacciaviti che le ragazze conservavano all’interno del vano sottosella.

Nel sogno compare improvvisamente Cico che sembra avere bisogno di un aiuto, quasi servisse anche a lui una revisione di alcune parti anatomiche. Smonto così due tappini di plastica che si trovano sulle sue spalle, esattamente all’alltezza di due nei che ho da quando sono nato. Uno dei tappini contiene un po’ di terra. Pulisco e risistemo le parti in plastica trasparente poste sulle spalle di Cico.

Io e T.D. siamo soddisfatti delle capacità acquisite nel tempo di aggiustare e sistemare veicoli a motore e parti del corpo.

La strada alternativa

Sono in un quartiere di Roma che non ricordo. Possiedo una moto rossa e nera di cui vado molto orgogliosa. Devo rientrare a casa con S. Vedo davanti a me una donna in tuta da motociclista che ha la stessa mia moto ma il modello successivo. Sono arrabbiata e penso che vporrei quella nuova. Poi torno con S. in macchina, facendo una strada nuova. passiamo davanti ad un parco giochi acquatico. vedo delle persone che fanno giochi strani: sono sdraiati in piccole conche che galleggiano sull’acqua e si devono tirare dei dischi. Penso che sia un pò pericoloso perchè se ti arrivano in faccia possono fare molto male. Dico ad S. che questa strada non la conosco proprio; lui è contento perchè di solito sono sempre io a dire le strade da fare e questo lo innervosisce. Poi incontriamo D. che mi chiede se nei giorni di Natale voglio lavorare lì nel parco. Gli dico che io sto andando in maternità e che non posso lavorare,. altrimenti avrei già fatto dei turni in comunità. Poi incontriamo altre persone che conosciamo anche A., la moglie di A., che però è antipatica. le mostro il posto dove da adolescente mi fermavo con i miei amici ma lei sembra un pò volermi distanziare.

Scalzo sul traghetto

Sono su un traghetto con la famiglia, ma bisogna togliersi le scarpe per motivi di sicurezza, che mettiamo in uno scomparto vicino all’uscita. Io sono il primo ad entrare e ho delle scarpe molto eleganti nere.

Inizia la traversata e il mare è mossissimo, anche se non siamo in mare aperto ma in un canale tipo Venezia dove un tizio in canoa si affianca al traghetto e rischia di capovolgersi. Penso che è un cretino, ma mi rendo conto che forse se si ripara col traghetto evita le onde. Comunque ci sbatte contro pericolosamente.

Poi attracchiamo e al momento di sbarcare io non trovo più le scarpe, che cerco ovunque e che immagino sepolte da quelli entrati dopo di me, ma niente. Peraltro non mi ricordo nemmeno precisamente se erano stringate oppure no: ce ne sono di simili, ma tutte vecchiotte, certo non mie. Penso che qualcuno me le ha fregate.

C’è un altro scomparto più in alto dove trovo una macchina fotografica che sembra la mia, ma è un modello molto migliore. Penso che potrei prenderla e nessuno se ne accorgerebbe, come è successo con le mie scarpe, che chissà quanta gente scambia la roba approfittando della confusione. So che non lo farei mai e la rimetto a posto a fatica, pensando che se mi vede il proprietario crederà proprio che gliela stavo prendendo.

Intanto scalzo giro per il traghetto dove alcuni membri dell’equipaggio si interessano molto relativamente al problema e sembrano piuttosto irritati dal fatto che portare scarpe nere su una nave porti sfortuna. Io dico: “ma su, varrà solo per l’equipaggio, no? possibile che nessun passeggero porti mai le scarpe nere?” (peraltro, anche se ci penso solo al risveglio, molte scarpe nello scomparto erano nere).

Disattenzione

Sono in un parcheggio con il mio amico T.D. e stiamo chiacchierando del più e del meno dentro alla sua macchina. Ad un certo punto decido di andare a prendere una cosa nella mia auto per mostrarla a T.

Arrivato all’auto mi accorgo che gli sportelli sono aperti e che nell’abitacolo c’è un odore diverso dal solito. Capisco che è entrato qualcuno in mia assenza. Temo che ci sia una persona accovacciata e nascosta sui sedili posteriori. Torno allora da T. e lo avverto dell’accaduto chiedendolgi di andare insieme a verificare la situazione.

Prima di recarci verso la mia auto T. prende, come arma di difesa, una tanica di benzina vuota di metallo dal bagagliaio della sua macchina.

Mi dirigo verso l’auto tenendo in mano un casco nero integrale.

Arrivati alla macchina mi accorgo che un signore dai capelli bianchi sta armeggiando dalla parte del passeggero. Lo aggredisco istantaneamente sferrandolgi un colpo con il casco. Il colpo, portato con il braccio destro, risulta però essere poco preciso ed estremamente debole. Colpisco infatti la spalla del signore il quale, senza scomporsi più di tanto, si rivolge a me con un volume di voce piottosto alto e mi spiega che la macchina in questione è la sua e che sarebbe stato prossimo alla partenza se non fossimo intervenuti noi a disturbarlo.

Mi accorgo di aver confuso l’auto, molto simile alla mia, e di essermi recato in una parte del parcheggio diversa da quella nella quale poco prima avevo parcheggiato.

Osservo gli occhi azzurri e candidi del signore dai capelli bianchi vergognandomi terribilmente del mio gesto.

Non guardo T. per paura di trovare nei suoi occhi un’espressione critica o di disapprovazione.

Tornando alla macchina penso a quanto T. nel corso degli anni potrà prendermi in giro per l’accaduto; mi sento di pessimo umore e provo una grande rabbia per il mio gesto e per la mia inaccettabile disattenzione.

Usciamo dal parcheggio con la macchina di T. e vagabondiamo per le vie di quella che appare essere la nostra città. Sembra un paese Toscano, le vie sono piccole, fresche e libere dal traffico.

Improvvisamente una ragazza su di un motorino “Ciao” va a sbattere per disattenzione contro la saracinesca di un negozio ancora chiuso cadendo a terra svenuta.

Chiamo immediatamente con il cellulare il 118 e chiedo l’intervento di un’ambulanza. Non mi accogo che l’operatrice ha risposto e rimango qualche secondo distratto e con il cellulare nella mano sinistra alla ricerca del nome della piazza nella quale mi trovo.

Dopo avere comunicato all’operatrice l’indirizzo, tra mille difficoltà, non ultima quella della miopia, mi dirigo verso il negozio con l’intenzione di aiutare la ragazza.

Nel frattempo il locale della saracinesca colpita ha aperto e i proprietari stanno aiutando la sfortunata ragazza. Entro nel bar/pizzeria a taglio e mi accorgo che un uomo e una donna stanno offrendo della pizza alla ragazza come soluzione del problema assicurativo sorto dopo l’incidente.

La ragazza però sembra non essere affatto contenta della magra consolazione offertale dai negozianti.

Mi accorgo di essere nudo e la ragazza comincia a prendersela co me, con una sorta di eloquio delirante, additandomi come tipico rappresentante del genere maschile.

Mi sembra evidente, dati i miei attributi in mostra, che io non possa negare di essere un uomo, cerco però di difendermi dalle accuse accogliendo il suo sfogo e contenendo la sua angoscia.

La ragazza va in bagno e io mi sdraio su di un letto all’entrata del negozio. Quando la ragazza esce mi accorgo di essere ancora nudo edi aver assunto una posizione che potrebbe essere equivocata e considerata come seduttiva (o per meglio dire da “piacione”).

Cambio posizione cercando di essere il più composto possibile.

Mi reco a mia volta al bagno passando per due stanze dall’arredamento molto spartano dentro le quali, su semplici tavoli di legno, famiglie e gruppi di amici passano insieme un’allegra serata mangiando pizza e bevendo birra.

Miscuglio

Mi trovo con il mio ragazzo in un paese arabo, siamo andati a trovare quella che nel sogno è la sua famiglia. Precisamente siamo in un luogo poco definito: a volte sembra un lager, poi diventa un treno in corsa.

Dal finestrino del treno mi rendo conto che quella che nel sogno è la sorella del mio ragazzo, cade dalla terrazza a testa in giù. Sitratta di una ragazza vetsita da araba, la vedo sempre da lontano, non riesco a vedere bene i suoi tratti somatici, ma il colore dominante è il nero. Fortunatamente riusciamo a salvarla anche se in coma.

Successivamente mi trovo nell’atrio di un edificio, molto simile ad un centro commerciale, c’è molta gente, allora entro in una stanza della casa dei genitori del mio ragazzo, è vuota, entro nel bagno e noto dallo specchio una figura, molto simile ad una donna impiccata. Faccio finta di niente, ma molto agitata cerco il mio ragazzo che nel frattempo si trova in mezzo ad una folla di gente. Lo chiamo, urlo e finalmente lo riesco a far passare. Nell’agitazione urto un buttafuori e mi fa capire che si serebbe vendicato del mio gesto, mi dice che non sonoi in Europa e lì queste cose sono punite.

Dico al mio ragazzo di guardare nel bagno e scopro di non essermi sbagliata e che la persona allo specchio è la sua madre musulmana. Stessa scena: non riesco a vedere i tratti del viso, il volto è scuro, vedo solo un corpo in degli abiti tipicicamente arabi neri.

Ci disperiamo, cominciamo a piangere, gli dico che c’é qualcosa che non va, che siamo in pericolo, penso a mio nonnno che nel sognio è appena morto, penso al’attentanto della sorella e adesso alla madre.

Agitata prendo il cellulare per chiamare mia madre, ma nella fretta faccio il numero della mia nonna materna che contenta di sentirmi comincia a chiacchierare, io le speigo che devo riattaccare e stando all’estero spendo troppo.

Finalmente parlo con mia madre, cerco di spiegarle la situazione, ma non ci riesco perchè lei comincia a parlarmi di tutti i suoi problemi…

Mi ritrovo alla Stazione Trmini prendo un autobus non troppo pieno, ad una fermata c’è una folla di gente che vuole salire, impaurita decido di scendere ma faccio fatica. Dovrei trovarmi su Via Casilina, ma non la riconosco, chiedo informazioni a due tizi che sono scesi con me e mi danno indicazioni per via casilina.

Finisco in un giardino, capisco dalla musica che ascolto che si tratta la casa di un ragazzo. Nel fratempo mi si avvicinanao dei cani, diventanio sempre più numerosi, impaurita lancio loro qualcosa da mangiare che avevo in mano. Esce il ragazzo a petto nudo, è biondo, molto magro, ci scambiamo alcune battute e poi esce dalla casa una mia collega dell’università.