Anche per me

Sono in una località marittima non ben definita, non molto bella. Mentre mi incammino verso la spiaggia noto alla mia sinistra due ragazze che conosco, MGM e SP. Sono di spalle, non mi hanno notato. S. indossa un bikini bianco abbastanza aderente. Il mio sguardo si posa immediatamente sul suo fondoschiena, bello come non mai. Continuo a fissarlo mentre cammino, decidendo, passo dopo passo, di non fermarmi a salutarle. Un sorriso malinconico appare sulla mia bocca. Quando sto per rivolgere di nuovo lo sguardo verso la spiaggia S. si gira. Mi fermo, ci guardiamo, non diciamo niente. Tutto si ferma… il silenzio. Gli sguardi sono sereni. Decido di farmi avanti e mi avvicino a MG che è ancora di spalle. Saluto prima lei ma solo perchè è più vicina a me di quanto lo sia S. Avvicino il mio viso al suo e le stampo un bacio sulla guancia destra ma mentre lo faccio il mio sguardo è ancora posato su S. Forse saluto anche lei, non ricordo.

“E’ stato un piacere averti incontrato”

“Anche per me”

Il gatto bambina

Passeggio nella piazza di un paesello non ben identificato quando scorgo un gattino minuscolo che dorme beato ai piedi delle scalette di una casa. È leggermente striato, di un bel mix si colori molto chiari tendenti all’acquamarina… Mi assale una voglia incontrollata di accarezzarlo e coccolarlo ma quando vado per prenderlo il gattino ai dimena e cerca di scappare. Gli dico di non scappare perchè voglio fargli solo tante coccole. Lo riprendo più e più volte fino a che non lo afferro saldamente e me lo porto in braccio. Inizio ad accarezzarlo sulla pancia e sotto il mento e a lui piace. Dopo poco noto che ha preso le sembianze e dimensioni di una bambina di circa cinque anni. Ha un viso bellissimo e degli occhi splendidi dello stesso colore che aveva il pelo del gatto. Le dico che è molto bella e, mentre la poggio a terra, che lo sarà ancora di più quando tornerò a trovarla tra quattro o cinque mesi.
Cambio di scena e mi ritrovo sul marciapiede di una città qualsiasi. Sono di fronte a un locale forse in attesa di entrare. Arriva una ragazza che forse conosco. Non mi nota e decido di stringerle il braccio affinchè mi veda. Si gira, è F.F., ma rispetto alla realtà è molto più alta e snella. Indossa un cappottone nero e ha i capelli lunghi, lisci e castani. Ci salutiamo. Mi giro verso l’altro lato della strada, guardo verso una sorta di macelleria, so che F.L. è andata a comprare la carne.
Mi ritrovo sullo stesso marciapiede ma poco più in là del locale, accanto ad un alberello. Con me ora c’è F.L.. Le racconto di aver sognato il gattino di cui sopra, dicendole anche di aver appreso, nel sogno appena fatto, che il termine “barboncino” in origine era stato coniato per i gatti.

I DJ impediti, le amiche ballerine e l’orso bruno

Sono in un locale dove sta per iniziare una serata musicale in cui si esibiscono due DJ. Il posto è tutto in legno, tipo baita di montagna… Lo speaker annuncia il duo e mi avvicino alla consolle. I due si guardano e iniziano la routine. Dopo qualche scratch parte il beat e inizio a muovere la testa a tempo. “Niente male” penso. Ma dopo circa 30 secondi si fermano. Il tipo al campionatore, una sorta di MPC dal colore dorato, cerca di farlo suonare a dovere ma non ci riesce. Preme tasti a caso sperando di trovare la causa del malfunzionamento. Il pubblico non reclama, si dimostra comprensivo. Il DJ non sembra molto imbarazzato dal contrattempo. Niente da fare… Dopo vari e vani tentativi ci ritroviamo tutti a tavola a discutere dell’accaduto. C’è chi da la colpa al campionatore, chi al DJ e chi, come me, al cavo che collegava l’apparecchio al mixer. “I cavi si rompono facilmente” dico, “basta passarci sopra con la sedia e si rompono e non trasmettono più il segnale”. Quasi tutti sono d’accordo.
Mi ritrovo ad un tavolo con C.P. e un’altra ragazza che potrebbe essere I.B.
Beviamo dei cocktail.
Ad un tratto C.P. tira fuori un ombrello a strisce, di un colore tendente al giallo/arancione. È molto grande. Così grande che quando lo apre il suo corpo viene completamente coperto dall’ombrello. Poi nizia a ballare muovendolo in modo da creare una certa coreografia. Anche I.B. Inizia a fare la stessa cosa ma con dei pezzi di stoffa. Mi avvicino in fretta a loro con il cellulare in mano, voglio scattare delle foto. Sono vicinissimo a I.B. tanto che mi sfiora il viso con i pezzi di stoffa che sta facendo volteggiare. Mi rimane difficile mettere a fuoco. inoltre la luce è poca e le due ballerine si muovono veloci quindi penso che le foto verranno male. Ma con mia grande sorpresa un paio vengono abbastanza bene.
Mi ritrovo nel piazzale fuori il locale, è giorno, C.P. continua a ballare accanto al muro. Ridiamo parecchio. Nella mano dove avevo il cellulare ora ho una sorta di racchetta da ping pong con cui colpisco una pallina di gomma che rimbalza in continuazione sul muro davanti al quale sta ballando la mia amica. Passa un signore, dice qualcosa che non ricordo.
Sono al telefono con S.P., accanto a me i miei figli. Guardo verso un giardino in cui scorgo un orso bruno che cammina su due zampe. È enorme ma apparentemente innocuo. Intorno a lui passeggiano delle persone. Lo faccio notare ai miei figli, una lo vede l’altro se lo perde.

Spaventato a morte

Sono in una cucina di una non ben identificata caserma militare e ci sono delle belle ragazze vestite di sole mutande nere. In seguito a quella che mi è sembrata una piccola esplosione una di loro viene scaraventata dall’altra parte della cucina andando a finire su una macchina a gas. Batte la testa sul muro ricoperto di piastrelle bianche e inizia ad avere dei tremori molto forti.

Da quello che posso apprendere come osservatore degli eventi i militari presenti nella caserma tentano di coprire l’accaduto cercando di eliminare la ragazza infortunata. Al successivo cambio di scena mi ritrovo, sempre come osservatore, in una stanza che può sembrare un magazzino vista la quantità di oggetti accatastati intorno a me. Nell’aria una canzone in perfetto stile italiano intonata da uno dei militari presenti nella stanza. Intuisco che le parole originali sono state alterate assumendo un tono di  inquietante scherno rivolto alla ragazza rinchiusa in un telo di plastica trasparente, su un  tavolo al centro della stanza. Tutto è illuminato da un cono di luce giallastra. La ragazza si dimena e maledice il militare canterino che rimane impassibile allo spettacolo di sofferenza della vittima.

Il successivo cambio di scena mi vede ancora come osservatore. Sono in una sorta di spogliatoio. Di fronte ad una fila di armadietti c’è il militare canterino. Sembra disorientato e spaventato da una qualche presenza che lo tormenta. Nel momento in cui si gira dalla parte opposta in cui stava guardando scorge la ragazza che aveva ucciso poco prima ed è in quel momento che prendo le sue parti e da osservatore divento protagonista della parte più spaventosa del sogno. La ragazza mi prende per la camicia e mi sbatte su un lettino iniziando ad imprecare cose non ben distinguibili fino a quando il suo viso, avvicinandosi sempre di più al mio, inizia a deformarsi. La sua bocca si allarga in maniera inverosimile e il suo interno è tutto nero. Più la trasformazione diventa orribile più le sue urla diventano forti e aggressive. Io vengo pervaso da una serie di brividi sempre più forti fino a quando uno di un’intensità mai provata mi colpisce al petto lasciandomi senza vita.

Foto ricordo e autoerotismo

Sono nel giardino della casa in Toscana, sono appena arrivato e mi metto subito a sistemare un fazzoletto di terra che sta prima del ponticello, infestato da ortica e altre piantacce. Sradica qua, sradica la, il mio operato porta alla luce delle piccole uova decorate e alcuni ovetti Kinder…

Capisco subito che mio padre li ha nascosti li, sotto le erbacce, per poi poter fare una sorpresa quindi mi affretto a ri-piantare le erbacce, compresa l’ortica che pero’ non punge, affinche’ la sorpresa non venga rovinata.

Più in là nel tempo incontro mio padre, sempre nel giardino, che mi confessa di aver nascosto le uova e, dopo avergli raccontato la mia “scoperta”, ridiamo indicando le erbacce.

Mi ritrovo in una sorta di centro commerciale, alla mia sinistra una scalinata, per terra moquette forse blu, di fronte a me un uomo pelato con andatura frettolosa mi raggiunge. Lo guardo bene e riconosco in lui Patrick Stewart, l’attore che impersonifica Jean-Luc Picard, il comandante dell’Enterprise in Star Trek TNG.

Eccitato dal fatto cerco di fermarlo e gli chiedo se ci possiamo fare una foto insieme, un po’ a gesti, un po’ a parole. Lui dapprima dice di no, poi gli faccio capire che mi accontento di una sola piccola foto. Accetta, si ferma ma mantiene la frettolosità, io intanto mi rendo conto di non avere né un cellulare né tanto meno una macchinetta fotografica e allora, mentre ci mettiamo in posa, cerco, con lo sguardo e anche con la voce, qualcuno che possa immortalare questo evento.

Nel mentre noto sul viso dell’attore, poco sotto il labbro inferiore, una macchia rossa che si protrae fino al busto (probabilmente il ricordo della sua divisa da capitano elaborato male) e mi preoccupo del fatto che chi vedrà la foto riderà di questa cosa… Inoltre rimugino sul fatto che me lo aspettavo più alto.

E’ ora di andare via dal “centro commerciale” ma la mia attenzione viene catturata da una videoteca posta in cima ad una balconata. Decido di visitarla.

Arrivo in prossimità della videoteca ma invece di salire verso la balconata devo scendere delle scale mobili di colore giallo chiaro molto lunghe. Le imbocco senza indugio ma mi pento quasi subito quando, arrivando verso la fine, noto che lo spazio tra la mia testa e il soffitto diventa sempre piu piccolo. In effetti le scale mobili non mantengono la stessa distanza dal soffitto per tutta la loro lunghezza e arrivato alla fine del percorso devo letteralmente sdraiarmi sulle scale per non fare la fine del sorcio.

Riesco, con molta paura e fatica, ad arrivare dove dovrebbero esserci i film in noleggio ma al posto degli scaffali trovo delle salette con delle tende blu dove probabilmente vengono proiettati i film. Ci rimango poco anche perche’ l’aria condizionata e’ a palla e sto morendo di freddo, decido quindi di risalire dall’altra parte.

La risalita e’ molto meno difficoltosa. Alla fine delle scale vendono delle piante molto particolari, tropicali oserei dire. Piove.

Mi ritrovo nello stesso punto in cui ho incontrato Patrick Stewart ma questa volta sono all’esterno. Sono eccitato e mi apparto in un bagno pubblico giapponese.  Una volta entrato mi assicuro che la porta sia chiusa, mi avvicino allo specchio che pero’ e’ una finestra dalla quale si dovrebbe vedere la piscina. Mi affaccio ma noto che la piscina si trova svariati piani sotto quello del bagno e per riuscire a vederla mi devo sporgere un bel po’. Sul muro di fronte posso vedere le finestre di altri appartamenti. Mi ritiro dentro pensando a come si viva male in Giappone…

Mi siedo sul bordo della vasca da bagno e inizio a praticare dell’autoerotismo con la bocca, con piacere ma sprattutto con grande stupore… Dopo un po’ noto con la coda dell’occhio degli insettini che razzolano per il bagno. Li noto anche sul lavandino, sullo specchio e in poco tempo mi rendo conto che sto bagno fa veramente schifo.

Esco e mi ritrovo vestito solo dei miei boxer rossi con i pesciolini seduto alla scrivania di casa che pero’ e’ posizionata di fronte alla testata del letto. Sento aprire la porta d’ingresso. E’ F. che ritorna e mi dice che sta con M. (nella realta’ una mia collega che non conosce) e mi prende un colpo perche’ sto in mutande.

Arrivano nella stanza dove mi trovo ma la scrivania si e’ trasformata nel letto e non mi preoccupo piu di farmi vedere in boxer dalla mia collega poiche’ sono coperto dal piumone. M. fa i complimenti per l’arredamento.

La bicicletta fissa

Sono in una zona periferica di Roma e sto percorrendo a piedi una grande strada simile alla Tuscolana alla ricerca di un negozio di biciclette.

Dopo aver percorso una parte della strada senza aver trovato alcunché, decido di entrare in un negozio di scarpe per chiedere informazioni.

Una ragazza molto grassa e vestita di bianco mi viene incontro riconoscendomi. E’ una mia conoscente, anche se nella realtà non la conosco affatto.

“Ma che ci fai qui?” mi dice con voce squillante ed allegra.

“Mi sai dire dove è il negozio di biciclette?” chiedo.

“Certamente. E’ qui vicino, ma non ricordo se a destra o a sinistra dell’uscita. Comunque saranno poche centinaia di metri.”

Ringrazio la ragazza, che nel frattempo mi ha parlato di alcuni amici in comune, ed esco dirigendomi a sinistra, consapevole di aver già percorso la parte destra della grande strada di periferia.

Pochi istanti dopo trovo il negozio ed entro.

Dietro al bancone una ragazzo alto e dal viso simpatico mi dice di essere a mia disposizione per eventuali informazioni. Io chiedo quanto vengano dei cerchioni nuovi per la mia bicicletta.

“Trenta Euro quello anteriore e trentacinque quello posteriore, poi se vuoi smontare la corona vecchia e montarla sulla posteriore nuova saranno al massimo altri cinque Euro”

Ci confrontiamo sulle ipotesi migliori per ristrutturare le bici fino a scoprire di essere interessati tutti e due alle biciclette con il mozzo fisso.

“Dai, anche io sono un patito della fissa!” mi dice con entusiasmo.

“Se vuoi farla possiamo lavorare insieme, ti faccio un buon prezzo. Sarebbe la mia prima fissa e sarei troppo contento!” mi spiega gioiosamente.

Parliamo un po’ di catene e di pignoni soffermandoci poi sul prezzo di un mozzo fisso nuovo.

La cifra è abbastanza alta, ma l’idea di imparare a modificare le bici e di avere finalmente una “fissa” mi alletta notevolmente.

Ragiono su quanto possa però essere faticoso pedalare su di una bici del genere, dove il movimento della ruota è in stretta relazione all’intensità della pedalata e dove l’assenza di movimento delle gambe corrisponde ad una “fissità” della ruota stessa.

 

Miscuglio

Mi trovo con il mio ragazzo in un paese arabo, siamo andati a trovare quella che nel sogno è la sua famiglia. Precisamente siamo in un luogo poco definito: a volte sembra un lager, poi diventa un treno in corsa.

Dal finestrino del treno mi rendo conto che quella che nel sogno è la sorella del mio ragazzo, cade dalla terrazza a testa in giù. Sitratta di una ragazza vetsita da araba, la vedo sempre da lontano, non riesco a vedere bene i suoi tratti somatici, ma il colore dominante è il nero. Fortunatamente riusciamo a salvarla anche se in coma.

Successivamente mi trovo nell’atrio di un edificio, molto simile ad un centro commerciale, c’è molta gente, allora entro in una stanza della casa dei genitori del mio ragazzo, è vuota, entro nel bagno e noto dallo specchio una figura, molto simile ad una donna impiccata. Faccio finta di niente, ma molto agitata cerco il mio ragazzo che nel frattempo si trova in mezzo ad una folla di gente. Lo chiamo, urlo e finalmente lo riesco a far passare. Nell’agitazione urto un buttafuori e mi fa capire che si serebbe vendicato del mio gesto, mi dice che non sonoi in Europa e lì queste cose sono punite.

Dico al mio ragazzo di guardare nel bagno e scopro di non essermi sbagliata e che la persona allo specchio è la sua madre musulmana. Stessa scena: non riesco a vedere i tratti del viso, il volto è scuro, vedo solo un corpo in degli abiti tipicicamente arabi neri.

Ci disperiamo, cominciamo a piangere, gli dico che c’é qualcosa che non va, che siamo in pericolo, penso a mio nonnno che nel sognio è appena morto, penso al’attentanto della sorella e adesso alla madre.

Agitata prendo il cellulare per chiamare mia madre, ma nella fretta faccio il numero della mia nonna materna che contenta di sentirmi comincia a chiacchierare, io le speigo che devo riattaccare e stando all’estero spendo troppo.

Finalmente parlo con mia madre, cerco di spiegarle la situazione, ma non ci riesco perchè lei comincia a parlarmi di tutti i suoi problemi…

Mi ritrovo alla Stazione Trmini prendo un autobus non troppo pieno, ad una fermata c’è una folla di gente che vuole salire, impaurita decido di scendere ma faccio fatica. Dovrei trovarmi su Via Casilina, ma non la riconosco, chiedo informazioni a due tizi che sono scesi con me e mi danno indicazioni per via casilina.

Finisco in un giardino, capisco dalla musica che ascolto che si tratta la casa di un ragazzo. Nel fratempo mi si avvicinanao dei cani, diventanio sempre più numerosi, impaurita lancio loro qualcosa da mangiare che avevo in mano. Esce il ragazzo a petto nudo, è biondo, molto magro, ci scambiamo alcune battute e poi esce dalla casa una mia collega dell’università.

Nonna Claudia

Mi trovo in giardino di casa mia…sono in tuta da ginnastica, in divisa ufficiale della mia squadra, pronta per giocare una nuova partita di campionato, il mister mi dice di riempire il più possibile le buste di plastica con l’acqua della fontanella davanti a me…mi organizzo prendo tutte le buste di plastica che trovo in giro e comincio a riempirle di acqua fino all’orlo, mi dice che devo fare in fretta prima che arriva la squadra avversaria. Ne riempo tantissime, grandi, piccole anche i sacchi neri… quelli condominiali, le ripongo tutte in una carriola che trovo davanti alla fontanella e ad un certo punto mi viene fame. Mi allontano dalla fontanella dal giardino e decido di entrare in cucina, quella del piano terra. è perfettamente funzionante, pulita, trovo delle persone a lavoro, c’è chi cucina, chi pulisce…presa dalla fame vado davanti al frigorifero lo apro e comincio a cercare qualcosa da mangiare…arriva mia nonna, nonna claudia, con i suoi capelli raccolti e con il suo viso rilassato e rassicurante e mi dice di aprire i cassetti in alto del frigorifero dove c’è il formaggio, in realtà ce ne sono di vario genere, insomma ne trovo una vasta scelta, decido di prendere un pezzo di tomino già iniziato…la guardo, mi guarda, mi sorride e mi da anche un pezzo di pane, esco e torno in giardino dalle mie buste di plastica…