Tigre, cavalli e dinosauro. Gli animali dei miei sogni più recenti.

Qualche settimana fa ha avuto inizio la mia serie di sogni sugli animali.
Il primo incontro di questo tipo nel mio mondo onirico è avvenuto sulla neve. Un gruppo di cani sta litigando, da lontano arriva una tigre. E’ maestosa nella sua corsa felina. Azzanna uno dei cani. So di dover intervenire altrimenti il cane morirà. Corro verso i due animali e afferro la tigre per le zampe posteriori. La sensazione al tatto con la morbidezza del pelo e la potenza degli arti inferiori è ancora vivida nella mia memoria. Ho paura che la tigre si giri e mi azzanni. Non ci riesce anzi, nemmeno ci prova. Riesco a staccare la tigre dal cane e dopo averla sollevata la scaravento lontano dopo averle fatto fare mezzo giro intorno al mio corpo.
L’immagine della tigre diviene un puntino che si allontana.

Nel secondo sogno io e @nina vediamo una mandria di bufali/cavalli. Sappiamo di dover correre per stare alla loro velocità. Non dobbiamo essere troppo lenti per non perderli di vista, né troppo veloci per non rischiare di venire travolti.
E’ una bella sensazione quando corriamo insieme a loro mantenendo la giusta velocità.

Nel terzo sogno incontro un dinosauro. Desidero fotografarlo con il cellulare per poi postare l’incredibile foto su Instagram.
Ogni volta che cerco di inquadrare il dinosauro, mi accorgo di una sua espressione contrariata ed aggressiva, quasi a volermi indirizzare sulla necessità di vivere quell’istante a pieno, come unico ed irripetibile. (Sogno del 7 luglio 2015, ritrovato tra le bozze del mio account)

Il pesce con le manine

Campagna, casolare, lieve discesa che porta ad un fiumiciattolo. So che ha piovuto parecchio quindi non mi stupisco di trovarlo gonfio d’acqua. Anzi, ne sono contento, anche perchè più acqua c’è più pesci ci sono. Ed infatti di lì a poco vedo sfrecciarne uno di dimensioni ragguardevoli da una parte all’altra del corso d’acqua. “E’ uno storione!” grido… Mi brillano gli occhi e so che sarà un gioco da ragazzi catturarlo. Il paesaggio è molto bello, l’acqua del fiume è di un colore fantastico, con le tipiche sfumature azzurrine che si possono notare nei paesaggi artici ghiacciati. L’aria è fresca e le chiome degli alberi lasciano filtrare qulche raggio di sole. Mentre mi godo il paesaggio inizio a vedere con la coda dell’occhio delle cose a mezz’aria… sono pesci che volano… No… saltano per l’esattezza, a formare delle parabole. La cosa in sè non mi stupisce più di tanto. Quello che mi lascia un po’ perplesso è invece la presenza, sui fianchi delle bestiole, di due piccole manine blu del tipo di quelle che si trovano nelle patatine, che lanci al muro e si appiccicano… Ad ogni modo… ad un certo punto uno di questi pescioni, durante la fase discendente della sua bella parabola, mi si appiccica addosso. L’impatto è abbastanza forte. Abbasso lo sguardo e noto che sta ciucciando la mia pelle con una protuberanza fina fina che gli parte dalla bocca… Non provo alcun fastidio o dolore. La cosa mi incuriosisce e decido di fargli una foto col telefonino per farlo vedere al mio compagno di pesca R.T.. Il pesce è ora sul mio braccio sinistro che metto prontamente nella posizione più adatta affinchè riesca a ritrarre l’intero animale. A voler essere precisi, il braccio è nella calssica posizione di chi vuole dare un’occhiata al proprio orologio per sapere che ore sono. Scatto la foto ma quando la vado a vedere noto che è notevolmente diversa da come sarebbe dovuta essere. Nella foto infatti mi trovo in una sorta di laboratorio di chimica con i tipici banconi pieni di strumenti e provette e il pesce si vede malissimo… vorrei scattarne un’altra ma il pesce se n’è andato…
Mi giro di nuovo verso il fiume e sulla sinistra scorgo lamia bella macchina nuova. E’ leggermente infangata ma non me ne curo. Decido però di spostarla e noto che è posizionata veramente troppo vicino all’acqua. Quando mi sposto dal lato del conducente, prima di aprire lo sportello noto la presenza di parecchia gente che sta popolando le azzurrine acque. La mia attenzione si sofferma in particolar modo su tre bambini che stanno sguazzando felici. Uno di loro, un maschietto con i capelli rasati, tiene in mano una canna da pesca veramente troppo corta e lancia in continuazione l’esca al centro del fiume. Un attimo dopo me li ritrovo di fronte. Uno di loro è ricoperto di peluria dello stesso colore blu dei pesci con l’aggiunta di alcune strisciate verdine…

Il Responso

Ho sottoposto (anche nella vita reale) le foto di un’artista al curatore di un importante progetto e aspetto la sua risposta.

Mi ritrovo seduta ad un tavolino rotondo bianco nella stessa stanza con questo curatore che è, invece, seduto alla sua scrivania davanti al computer nell’angolo della stanza. Lui non mi vede, oppure non percepisce la mia presenza, ed io lo guardo come in una candid camera mentre apre le email e legge la mia commentando che l’artista in questione non è adatta e che è scadente.

Il senso di delusione è forte soprattutto perché attribuisco il fallimento al mio non avere incluso nel portfolio una foto in particolare per via di una dimenticanza.

 

I DJ impediti, le amiche ballerine e l’orso bruno

Sono in un locale dove sta per iniziare una serata musicale in cui si esibiscono due DJ. Il posto è tutto in legno, tipo baita di montagna… Lo speaker annuncia il duo e mi avvicino alla consolle. I due si guardano e iniziano la routine. Dopo qualche scratch parte il beat e inizio a muovere la testa a tempo. “Niente male” penso. Ma dopo circa 30 secondi si fermano. Il tipo al campionatore, una sorta di MPC dal colore dorato, cerca di farlo suonare a dovere ma non ci riesce. Preme tasti a caso sperando di trovare la causa del malfunzionamento. Il pubblico non reclama, si dimostra comprensivo. Il DJ non sembra molto imbarazzato dal contrattempo. Niente da fare… Dopo vari e vani tentativi ci ritroviamo tutti a tavola a discutere dell’accaduto. C’è chi da la colpa al campionatore, chi al DJ e chi, come me, al cavo che collegava l’apparecchio al mixer. “I cavi si rompono facilmente” dico, “basta passarci sopra con la sedia e si rompono e non trasmettono più il segnale”. Quasi tutti sono d’accordo.
Mi ritrovo ad un tavolo con C.P. e un’altra ragazza che potrebbe essere I.B.
Beviamo dei cocktail.
Ad un tratto C.P. tira fuori un ombrello a strisce, di un colore tendente al giallo/arancione. È molto grande. Così grande che quando lo apre il suo corpo viene completamente coperto dall’ombrello. Poi nizia a ballare muovendolo in modo da creare una certa coreografia. Anche I.B. Inizia a fare la stessa cosa ma con dei pezzi di stoffa. Mi avvicino in fretta a loro con il cellulare in mano, voglio scattare delle foto. Sono vicinissimo a I.B. tanto che mi sfiora il viso con i pezzi di stoffa che sta facendo volteggiare. Mi rimane difficile mettere a fuoco. inoltre la luce è poca e le due ballerine si muovono veloci quindi penso che le foto verranno male. Ma con mia grande sorpresa un paio vengono abbastanza bene.
Mi ritrovo nel piazzale fuori il locale, è giorno, C.P. continua a ballare accanto al muro. Ridiamo parecchio. Nella mano dove avevo il cellulare ora ho una sorta di racchetta da ping pong con cui colpisco una pallina di gomma che rimbalza in continuazione sul muro davanti al quale sta ballando la mia amica. Passa un signore, dice qualcosa che non ricordo.
Sono al telefono con S.P., accanto a me i miei figli. Guardo verso un giardino in cui scorgo un orso bruno che cammina su due zampe. È enorme ma apparentemente innocuo. Intorno a lui passeggiano delle persone. Lo faccio notare ai miei figli, una lo vede l’altro se lo perde.

Il grande punto interrogativo

Sono per strada, in attesa dell’autobus. C’è una ragazza con i capelli lunghi. Penso che stia aspettando l’autobus anche lei.

Mi giro verso sinistra e al centro di un comprensorio di palazzi in cortina c’è un enorme punto interrogativo il cui gambo è formato da palazzine simili a quelle intorno il cui spessore è così ridotto da farmi pensare che possano crollare da un momento all’altro. La curva del punto interrogativo invece è fatta di fasce di metallo sovrapposte. E’ enorme…

Decido di circumnavigare il comprensorio per osservarlo meglio e per trovare una visuale ottimale affinchè possa scattare una foto. Prima di incamminarmi penso che ritroverò la ragazza dove l’ho alsciata. Purtroppo mentre effettuo il giro del comprensorio le varie visuali non mi soddisfano e finisco per ritrovarmi alla fermata dell’autobus. La ragazza non c’è più, peccato…

Cassetti

Sono con mia madre, vedo che ha steso della biancheria intima carina, quando si distrae prendo come una sorta di corpetto, come forse si portavano un tempo. Poi vado nella sua camera da letto mi rendo conto che non ho mai aperto i suoi cassetti, lo faccio.

Mi accorgo che sul fondo di questi  ci sono tantissime foto del passato, di quando ero bambina, c’è anche mio fratello, ridiamo, sento come una nostalgia e un dolore fortissimi, mi sveglio.

Il barbone

Sono su un autobus, sto leggendo un libro, vedo delle foto, immagini che mi piacciono. Sale un barbone, è un ragazzo giovane coi capelli lunghi, sento prima la sua presenza dietro di me, mi sposto, lui inizia a insultarmi a dirmi che sono una montata, che mi credo chissa’ chi, gli altri passeggeri dell’ autobus intrvengono, ma lui li minaccia, anch’ io alzo la voce dicendogli di lasciarmi perdere.

Scalzo sul traghetto

Sono su un traghetto con la famiglia, ma bisogna togliersi le scarpe per motivi di sicurezza, che mettiamo in uno scomparto vicino all’uscita. Io sono il primo ad entrare e ho delle scarpe molto eleganti nere.

Inizia la traversata e il mare è mossissimo, anche se non siamo in mare aperto ma in un canale tipo Venezia dove un tizio in canoa si affianca al traghetto e rischia di capovolgersi. Penso che è un cretino, ma mi rendo conto che forse se si ripara col traghetto evita le onde. Comunque ci sbatte contro pericolosamente.

Poi attracchiamo e al momento di sbarcare io non trovo più le scarpe, che cerco ovunque e che immagino sepolte da quelli entrati dopo di me, ma niente. Peraltro non mi ricordo nemmeno precisamente se erano stringate oppure no: ce ne sono di simili, ma tutte vecchiotte, certo non mie. Penso che qualcuno me le ha fregate.

C’è un altro scomparto più in alto dove trovo una macchina fotografica che sembra la mia, ma è un modello molto migliore. Penso che potrei prenderla e nessuno se ne accorgerebbe, come è successo con le mie scarpe, che chissà quanta gente scambia la roba approfittando della confusione. So che non lo farei mai e la rimetto a posto a fatica, pensando che se mi vede il proprietario crederà proprio che gliela stavo prendendo.

Intanto scalzo giro per il traghetto dove alcuni membri dell’equipaggio si interessano molto relativamente al problema e sembrano piuttosto irritati dal fatto che portare scarpe nere su una nave porti sfortuna. Io dico: “ma su, varrà solo per l’equipaggio, no? possibile che nessun passeggero porti mai le scarpe nere?” (peraltro, anche se ci penso solo al risveglio, molte scarpe nello scomparto erano nere).