Il campeggio è cambiato

Sono nella roulotte dove ho trascorso gran parte delle estati della mia vita. Sto effettuando una sorta di ispezione dei contenitori situati sotto i divanetti ad angolo, un rituale che mettevo in atto ogni anno, per vedere cosa contenessero.
Nel primo, dove solitamente tenevo i miei giochi, c’erano i vestiti di mio padre, dei cuscini e altra maglieria non ben identificata. Curioso di scoprire eventuali sorprese sotto quell’ammasso di tessuti, inizio a scostarli uno ad uno, ma desisto quasi subito per la fatica con cui cerco di spostarli. Richiudo il coperchio di compensato, facendo pressione affinchè i panni gonfiati dal mio cercare ritornino alla loro posizione originaria. Sistemo il cuscino rettangolare giallo ocra e passo al contenitore successivo, dove trovo la scocca di un pattino a rotelle. È bianca latte, di un materiale che ricorda molto quello dei taglieri. Ha una forma anatomica e alla base ci sono una serie di bulloni argentati, e una catenella dello stesso materiale. Nel fondo del contenitore scorgo il suo gemello, sinistro o destro… Tra me e me penso che silono i pattini di mia madre che usava quand’era giovane ma il loro aspetto così nuovo mi porta presto via da quel pensiero. Apro il contenitore d’angolo e le prime cose che vedo sono le due basi metalliche dotate di rotelle dei pattini. Sotto di loro, gli stivaletti da montarci sopra. Sono di velluto rosso bordeaux. In un’altra parte del sogno li porto a far vedere a mia madre, nella cucina della casa di Roma. Rivolgendosi a qualcun altro dice che sono del periodo in cui mia sorella aveva il cane Pippo.
Nel contenitore angolare c’è dell’altro ma non riesco a identificarlo in quanto il è molto buio e inoltre la visuale è penalizzata dalla sua posizione angolare. Accendo la torcia del telefonino e la punto verso quello che sembra un piccolo dinosauro marrone di plastica ma essendo troppo vicino ad esso non riesco a metterlo bene a fuoco. A quel punto mi si affatica la vista e decido di terminare l’ispezione, anche perchè dall’altra parte della roulotte, nella minuscola cameretta dove da giovane dormivo io, ci sono i miei figli che riposano e uno di loro sta per essere svegliato dai miei rumori.
Mi ritrovo in veranda dove trovo mia sorella V. attorno ad un tavolo quadrato. Su di esso una bottiglia di vetro e un bicchiere con del liquido trasparente. Ne bevo un sorso. Mia sorella scatta sull’attenti e mi dice ad alta voce “Ma quello era il gastroprotettivo!” e poi, rivolgendosi agli altri presenti “S’è bevuto il Cevado…”. Ed io di tutta risposta, con un mezzo sorriso stampato sulle labbra, le faccio “Ma ce vado a comprarne altro?”.
Esco dalla veranda e vedo mia madre in piedi tra la nostra roulotte e quella posizionata accanto. Indossa uno di quei suoi vestiti estivi, di colore blu con su un motivo forse floreale. La raggiungo, mentre con le braccia aperte cerco di valutare lo spazio tra le due case mobili. Alzo lo sguardo e le comunico con una smorfia di approvazione sulle labbra la mia soddisfazione nel constatare che lo spazio è abbastanza ampio da permettere ad una macchina di entrarci a retromarcia, per agevolare il carico e lo scarico delle valigie. Dietro di lei altri campeggiatori si apprestano a montare le proprie attrezzature.
Una volta arrivato accanto a mamma incominciamo la nostra passeggiata attraverso il campeggio. Le faccio notare che, da un mio punto di vista, il campeggio non è stato poi così tanto rovinato dai quei campeggiatori poco pratici, che si portano dietro ogni tipo di comodità. In effetti, quello che vedo intorno a me è una fedele riproduzione di ciò che ho vissuto nel passato. Beh, non faccio in tempo a notarlo che il paesaggio cambia così tanto da farmi pensare subito il contrario.
Alla mia sinistra una costruzione di cemento ospita tanti piccoli alloggi dotati di tutti i comfort. La siepe che la circonda mi sembra familiare ma alla fine non riesco più a capire se appartenga ai miei ricordi o se sia stata posta lì di recente.
Più avanti una piazzetta circondata da alberi dal fusto enorme e grigio. La attraversiamo e mentre lo facciamo dico a mia madre “Vedi, è anche giusto che questo campeggio sia cambiato così tanto. Era relegato nel passato da troppo tempo.”.
Poi le spiego che certi rinnovamenti sono mirati ad attirare nuova e numerosa clientela.
Stiamo costeggiando un’altro fabbricato dalle pareti color mattone chiaro. Più giù, di fronte a noi, un signore con la barba bianca si accinge a prelevare dei soldi da un bancomat.
Giriamo l’angolo del fabbricato e quello che mi si para davanti è uno spettacolo maestoso ma al contempo anche molto triste. Uno spiazzo gigantesco, più simile ad una vallata di montagna, con molta gente, prati, viottoli e sullo sfondo, in alto, come a formare una catena montuosa, dei palazzi in cortina. Rimango esterrefatto da così tanto meraviglioso scempio. Mi rivolgo a mia madre dicendole che ai miei tempi il campeggio era tutt’altra cosa e che i palazzi proprio non dovrebbero esserci.

Il pesce con le manine

Campagna, casolare, lieve discesa che porta ad un fiumiciattolo. So che ha piovuto parecchio quindi non mi stupisco di trovarlo gonfio d’acqua. Anzi, ne sono contento, anche perchè più acqua c’è più pesci ci sono. Ed infatti di lì a poco vedo sfrecciarne uno di dimensioni ragguardevoli da una parte all’altra del corso d’acqua. “E’ uno storione!” grido… Mi brillano gli occhi e so che sarà un gioco da ragazzi catturarlo. Il paesaggio è molto bello, l’acqua del fiume è di un colore fantastico, con le tipiche sfumature azzurrine che si possono notare nei paesaggi artici ghiacciati. L’aria è fresca e le chiome degli alberi lasciano filtrare qulche raggio di sole. Mentre mi godo il paesaggio inizio a vedere con la coda dell’occhio delle cose a mezz’aria… sono pesci che volano… No… saltano per l’esattezza, a formare delle parabole. La cosa in sè non mi stupisce più di tanto. Quello che mi lascia un po’ perplesso è invece la presenza, sui fianchi delle bestiole, di due piccole manine blu del tipo di quelle che si trovano nelle patatine, che lanci al muro e si appiccicano… Ad ogni modo… ad un certo punto uno di questi pescioni, durante la fase discendente della sua bella parabola, mi si appiccica addosso. L’impatto è abbastanza forte. Abbasso lo sguardo e noto che sta ciucciando la mia pelle con una protuberanza fina fina che gli parte dalla bocca… Non provo alcun fastidio o dolore. La cosa mi incuriosisce e decido di fargli una foto col telefonino per farlo vedere al mio compagno di pesca R.T.. Il pesce è ora sul mio braccio sinistro che metto prontamente nella posizione più adatta affinchè riesca a ritrarre l’intero animale. A voler essere precisi, il braccio è nella calssica posizione di chi vuole dare un’occhiata al proprio orologio per sapere che ore sono. Scatto la foto ma quando la vado a vedere noto che è notevolmente diversa da come sarebbe dovuta essere. Nella foto infatti mi trovo in una sorta di laboratorio di chimica con i tipici banconi pieni di strumenti e provette e il pesce si vede malissimo… vorrei scattarne un’altra ma il pesce se n’è andato…
Mi giro di nuovo verso il fiume e sulla sinistra scorgo lamia bella macchina nuova. E’ leggermente infangata ma non me ne curo. Decido però di spostarla e noto che è posizionata veramente troppo vicino all’acqua. Quando mi sposto dal lato del conducente, prima di aprire lo sportello noto la presenza di parecchia gente che sta popolando le azzurrine acque. La mia attenzione si sofferma in particolar modo su tre bambini che stanno sguazzando felici. Uno di loro, un maschietto con i capelli rasati, tiene in mano una canna da pesca veramente troppo corta e lancia in continuazione l’esca al centro del fiume. Un attimo dopo me li ritrovo di fronte. Uno di loro è ricoperto di peluria dello stesso colore blu dei pesci con l’aggiunta di alcune strisciate verdine…

Il bignè

La luce filtrava dal sottobosco creando fasci arancioni che tentavano di rischiarare la parte in ombra. Lì finiva un sentiero stretto. Ai lati di esso alberi e piante tutte in controluce…

Il grosso bignè con il cappello di stoffa blu si spostava lungo il sentiero. Vicino alla parte in ombra, il bignè inizia a perdere dei pezzi, che come se fossero dotati di coscienza si muovono verso una pianta…

La pianta aveva il busto che finiva su delle radici esterne che sprofondavano nel terreno solo di poco. I pezzi di bignè la intaccano e la infiammano facendola contorcere.

Un giorno per caso…

..mi trovo in automobile con mia zia, mia cugina e mia madre… alla guida mia zia… stiamo percorrendo una strada che costeggia il mare… è un posto bello e del quale non ho memoria, nonostante nel sogno sia consapevole di essere in una località marittima familiare…. durante il tragitto mia zia mi dice che si sta dirigendo verso una piccola Chiesa, poichè vuole mostrarcela…

…proseguiamo il tragitto, il sole è alto ed il cielo è azzurro ma non fa troppo caldo…

…giungiamo in un parco… ci sono alberi da frutto, tanti… iniziamo a camminare sino a giungere davanti alla piccola Chiesa, la costruzione sorge su un prato… è celeste, ed è molto, molto semplice…

…usciamo dalla piccola Chiesa e notiamo un capannone molto grande poco distante… ci avviciniamo…

…entriamo e ci rendiamo conto che in quel capannone si sta per celebrare il matrimonio di una cara amica di famiglia…

Io e mia cugina iniziamo a sistemare i fiori, l’altare… e poi iniziamo a preparare il rinfresco… c’è una cucina, quasi indutriale per la grandezza e l’attrezzatura… mi infilo il grembiule e inizio a preparare dolci, di tutti i tipi… biscotti, torte, cioccolatini e creme…

…ad un certo punto notiamo che le persone iniziano a disporsi ai lati dell’altare… ho la sensazione che la sposa stia arrivando… avverto mia cugina e ci avviciniamo anche noi all’altare, dalla parte della sposa… mia zia ci fa notare che lo sposo ha pochissimi invitiati rispetto allo sposa, il suo lato, infatti, è quasi vuoto… allora chiedo alle persone di disporsi ai due lati dell’altare in modo bilanciato…

…finalmente si aprono le porte del capannone… una grande luce… e poi, al posto della sposa, entra mia madre… con un grande mazzo di fiori…. cammina sino all’altare… sistema i fiori in un vaso, si mette dietro l’altare… sorride e dice: “Possiamo iniziare… che entrino gli sposi… ed io inizierò la celebrazone del loro matrimonio!!!”

Tre brutti sogni

Sto camminando in un bosco fitto con alberi alti e con me c’è Fabri, ad un certo punto vedo un materasso abbandonato e sopra c’è il mio cane Diavolone con un altro cane nero che non conosco e che non sembra in salute. Mi avvicino al materasso e vedo che Diavolone ha l’attaccatura della coda tutta ferita e gonfia. Diavolone mi parla come se fosse umano e, riferendosi all’altro cane, dice: “Ma se lo porto dal veterinario credi che mi farà pagare la medicazione per la mia coda?”. Io sento un terribile nodo alla gola e penso che, povero cane, si trova in difficoltà e sta cercando un modo per farsi medicare ma non sa come fare. Mi rivolgo a Fabri e gli dico che li porterò io dal veterinario.

Cambia scena e mi trovo a Piazza S Pietro ma il colonnato invade l’intera piazza come se fosse un bosco di colonne altissime che sorreggono una tettoia, ognuna sostenendola con un grosso bullone. In alto ci sono degli operai e io domando cosa stiano facendo. Mi rispondono che devono spostare l’intera struttura due metri più a destra, svitando tutti i bulloni in cima, spostando le colonne altissime e rimettendo la tettoia. Io alzo di nuovo lo sguardo verso la sommità è penso che sarà una manovra lunghissima, pericolosa e senza speranza di riuscita. Appena finisco il pensiero vengo colta da un brivido di vertigine (per quanto stanno lavorando in alto gli operai) e poi ho un conato di nausea.

Cambia scena e sto salendo una lunghissima scala piatta (tipo per le carrozze) che si snoda come un serpentone sotto il cielo aperto. Davanti a me sta salendo un uomo basso, più basso di me ed io, che porto in mano una borsetta da sera, lo colpisco violentemente alla testa con questa e poi, con un gesto rapido, mi metto davanti a lui e gli do un pugno in viso e resto con la guardia alta. Mentre faccio tutto ciò mi dico che sarà un gioco da ragazzi batterlo perché è pur vero che io sono una donna ma lui è un uomo basso e quindi sarò più forte io.

 

Via dei Gelsomini

Sono in una località residenziale e nel sogno so che si tratta di Casalpalocco ma assomiglia ad un misto tra Ansedonia ed un villaggio greco vicino al mare. Io mi aggiro tra queste strade piene di alberi e di fiori, con giardini bellissimi che nascondono ville bianche con finestre blu. Sono alla ricerca di SM, un mio vecchio compagno di università di quando studiavo legge. So che abita al n 44 di Via dei Gelsomini, ma la numerazione è completamente senza senso e infatti mi perdo e finisco nel giardino di un’altra casa. Questa casa, per una coincidenza, è di persone che conosco e che non vedo da tanto tempo e arriva anche Fabri. Si decide di andare a fare un giro in barca e magari di fare il bagno ma io non ne ho tanta voglia e poi non ho il costume. Poi mi ritrovo in macchina, non so con chi, e tutta questa bella località sembra invece una cava di pozzolana, simile a quella che sta in campagna da me e io so che c’è qualcuno che mi sta seguendo…

L’ufficio-ospedale

Con mia grande sorpresa vengo a sapere di essere stato trasferito di stanza e la mia compagna di lavoro altri non e’ che una vecchia collega con cui ho lavorato all’inizio della mia vita lavorativa. Contento di cio’ mi industrio per sistemare la stanza, ridotta in uno stato pietoso, molto somigliante ad uno studio di un artigiano. Assi di legno qua e la appoggiate a terra e alle pareti, le sposto, di poco… Poi torno ad occuparmi della scrivania. E’ posta longitudinalmente ad una delle pareti corte della stanza, al suo centro, accanto a quella della mia collega ed un vetro divide me e lei. Sulla porta appare il mio vecchio responsabile di cui non ho un bellissimo ricordo e subito capisco di essere tornato a lavorare per lui. Faccio notare la mia scontentezza ed esco dalla stanza con passo affrettato per andare a reclamare non so bene da chi. Mi dirigo fuori dell’edificio percorrendo un corridoio lungo con pareti verdine; arrivo ad una stanza all’interno della quale intravedo una doccia in funzione e dietro al pannello di vetro appannato spicca un fondoschiena (notevole) di una ragazza con pelle leggermente scura. Mi avvicino e piu in la c’e’ un uomo grassottello con un camice da infermiere verde, mi vedono e cambio strada. Esco dal portone a vetri dell’edificio e davanti a me un enorme prato brullo con pochi alberi. Mi dirigo a sinistra sul marciapiede grigio e inizio a correre ma quasi subito le gambe si appesantiscono troppo e faccio fatica a mantenere l’andatura.