Il costume

… mi trovavo in un negozio che vendeva articoli di diverso genere… dal bricolage… ai divani… agli articoli per il mare… io dovevo acquistare un costume da bagno… ne avevo bisogno per fare non so che cosa di importante…. non ce n’erano molti… e non ce n’era uno in particolare che mi piacesse tanto… l’unico “decente” era un costume a  fascia, colorato, a pois…. lo prendo… nemmeno lo provo dalla fretta… controllo la taglia… e vado in cassa a pagarlo. La cassiera la riconosco subito, la saluto… era la mia psicologa… ma lei mi guarda in un modo strano… guarda il costume per controllare il prezzo e mi dice in tono molto adirato che l’avevo rotto! Tira su la mutandina del costume per farmela vedere e mi dice: “vedi e’ pieno di buchi, prima non c’erano, l’hai rotto tu per misurarlo” ma io non l’avevo nemmeno provato… cerco di spiegarle che non ero stata io…. ma lei non vuole credermi e io scappo dal negozio disperata… e mi rendo conto appena uscita che faceva freddissimo e io non avevo piu’ il mio giaccone… mi guardo intorno e mi ritrovo in un posto diverso… vado alla ricerca del giaccone… entro in un locale che sembrava un parrucchiere per uomini… c’erano tutti uomini in fila sotto i caschi… e chiedo alle ragazze che lavoravano lì se lo avevano visto… una di loro mi porta un giaccone… che non era il mio, ma mooolto piu’ bello e piu’ costoso… ero tentata di prenderlo e non dire niente… ma non era il mio… e non era giusto… e poi pensavo che la taglia potesse non essere esatta… insomma… non l’ho preso… mi sono svegliata di colpo… il peggior shopping della mia vita!!!!

Le lavandaie

Sono per strada nei pressi del mio posto di lavoro. Molto probabilmente in pausa pranzo, perchè sto cercando di decidere in quale bar andare a mangiare. Quello più lontano non l’ho mai visitato. Decido di farlo e mi metto a correre altrimenti farò tardi. Ai piedi ho degli zoccoli di legno che rallentano la mia corsa. Decido quindi di tornare indietro per andare all’altro bar. Dopo poco mi giro verso il bar lontano e mi rimetto a correre per raggiungerlo. Noto che si trova nello stesso punto dove sorge un gommista. Quest’ultimo aspetto mi fa desistere e torno indietro per la seconda volta.

Mentre costeggio le mura dell’ufficio, almeno 10 volte più grande di quello reale, sento delle voci provenire da un seminterrato. I locali lavanderia. Mi affaccio furtivamente e dietro ad un paravento color bianco sporco ci sono una signora rossa e una ragazza mora. Stanno chiacchierando del più e del meno. Mi intrattengo fuori della finestra nella speranza che inizino a spogliarsi. Faccio avanti e indietro come per rinnovare il mio passaggio casuale nei pressi della finestra fino a che la signora rossa si cala i calzoni mostrandomi il suo splendido didietro.

Da un’altra finestra un tipo coi baffetti mi guarda insospettito e poco dopo iniziano a farlo anche le due tipe nell’altro locale.

Decido di allontanarmi.

Mi ritrovo all’interno di un palazzo, sul pianerottolo del primo piano. In una rientranza sta seduta la ragazza della lavanderia. Ha i capelli neri e lisci, la frangetta ed è vestita di verde. Mentre mi avvicino mi mostra accidentalmente il seno. È minuto ma perfetto.

Una volta vicino alla ragazza mi faccio coraggio e le chiedo se vuole prendere un caffè. Lei dice di no. Le faccio notare che è la prima volta in vita mia che chiedo ad una ragazza di offrirle un caffè ma questa cosa non fa altro che aumentare il suo disagio.

Dal corridoio alla mia destra arriva con passo affrettato il tipo coi baffetti. Non mi fa domande ma si ferma di fronte a me. Cerco di dimostrargli che non ho cattive intenzioni. Mi rivolgo alla ragazza nella speranza che possa fargli capire che sono in buona fede. Le dico “Digli cosa ti ho chiesto” e lei gli dice che le avevo solo chiesto di prendere un caffè. Di seguito aggiungo, in maniera sufficientemente seria, “Non sono un molestatore”. Questa mia ultima affermazione sembra aver sortito l’effetto desiderato e io e il tipo coi baffetti scendiamo al piano terra.

Mentre scendiamo mi dice che non tutti sono sinceri come me (o qualcosa del genere). Ci ritroviamo all’entrata del palazzo, di fronte al portone a vetri. Mentre chiacchieriamo noto, guardando attraverso il portone, un tipo con la maglietta verde scura sdraiato in mezzo ad un incrocio. I passanti lo snobbano. Mi preoccupo per lui ma subito dopo si alza e se ne va.
Mi accorgo di avere pantaloni e boxer abbassati e mentre cerco di ritirarmeli su mi scuso con baffetto. Ridiamo, anche perché i pantaloni sono molto stretti e faccio fatica ad allacciarli. Mentre sono ancora mezzo denudato, sempre guardando attraverso i vetri del portone, noto un mio collega che si avvicina al palazzo. Penso si tratti di F.C.. Cerco di affrettarmi a rivestirmi per non farmi vedere in quelle condizioni. Il tipo entra nel palazzo, non era un mio collega.

I DJ impediti, le amiche ballerine e l’orso bruno

Sono in un locale dove sta per iniziare una serata musicale in cui si esibiscono due DJ. Il posto è tutto in legno, tipo baita di montagna… Lo speaker annuncia il duo e mi avvicino alla consolle. I due si guardano e iniziano la routine. Dopo qualche scratch parte il beat e inizio a muovere la testa a tempo. “Niente male” penso. Ma dopo circa 30 secondi si fermano. Il tipo al campionatore, una sorta di MPC dal colore dorato, cerca di farlo suonare a dovere ma non ci riesce. Preme tasti a caso sperando di trovare la causa del malfunzionamento. Il pubblico non reclama, si dimostra comprensivo. Il DJ non sembra molto imbarazzato dal contrattempo. Niente da fare… Dopo vari e vani tentativi ci ritroviamo tutti a tavola a discutere dell’accaduto. C’è chi da la colpa al campionatore, chi al DJ e chi, come me, al cavo che collegava l’apparecchio al mixer. “I cavi si rompono facilmente” dico, “basta passarci sopra con la sedia e si rompono e non trasmettono più il segnale”. Quasi tutti sono d’accordo.
Mi ritrovo ad un tavolo con C.P. e un’altra ragazza che potrebbe essere I.B.
Beviamo dei cocktail.
Ad un tratto C.P. tira fuori un ombrello a strisce, di un colore tendente al giallo/arancione. È molto grande. Così grande che quando lo apre il suo corpo viene completamente coperto dall’ombrello. Poi nizia a ballare muovendolo in modo da creare una certa coreografia. Anche I.B. Inizia a fare la stessa cosa ma con dei pezzi di stoffa. Mi avvicino in fretta a loro con il cellulare in mano, voglio scattare delle foto. Sono vicinissimo a I.B. tanto che mi sfiora il viso con i pezzi di stoffa che sta facendo volteggiare. Mi rimane difficile mettere a fuoco. inoltre la luce è poca e le due ballerine si muovono veloci quindi penso che le foto verranno male. Ma con mia grande sorpresa un paio vengono abbastanza bene.
Mi ritrovo nel piazzale fuori il locale, è giorno, C.P. continua a ballare accanto al muro. Ridiamo parecchio. Nella mano dove avevo il cellulare ora ho una sorta di racchetta da ping pong con cui colpisco una pallina di gomma che rimbalza in continuazione sul muro davanti al quale sta ballando la mia amica. Passa un signore, dice qualcosa che non ricordo.
Sono al telefono con S.P., accanto a me i miei figli. Guardo verso un giardino in cui scorgo un orso bruno che cammina su due zampe. È enorme ma apparentemente innocuo. Intorno a lui passeggiano delle persone. Lo faccio notare ai miei figli, una lo vede l’altro se lo perde.

Tramonto

Riporto a casa mio padre da un ospedale dove è stato a lungo in pericolo di vita a causa di errori dei medici. Penso di denunciarli. Apro il suo borsone e ne escono fuori anche cose mie che evidentemente avevo infilato lì nella fretta del ricovero: sono cose mie femminili, smalti per le unghie, creme, etc., e sono contenta di averle recuperate. Mio padre (che in realtà è morto circa un anno fa) mi dà un messaggio un po’ criptico che però sento significativo e consolante: dice di essere triste perché la sua vita volge al tramonto ed è vicino alla morte, ma che la sua morte è anche giusta proprio perché la sua vita sta tramontando.

Nonna Claudia

Mi trovo in giardino di casa mia…sono in tuta da ginnastica, in divisa ufficiale della mia squadra, pronta per giocare una nuova partita di campionato, il mister mi dice di riempire il più possibile le buste di plastica con l’acqua della fontanella davanti a me…mi organizzo prendo tutte le buste di plastica che trovo in giro e comincio a riempirle di acqua fino all’orlo, mi dice che devo fare in fretta prima che arriva la squadra avversaria. Ne riempo tantissime, grandi, piccole anche i sacchi neri… quelli condominiali, le ripongo tutte in una carriola che trovo davanti alla fontanella e ad un certo punto mi viene fame. Mi allontano dalla fontanella dal giardino e decido di entrare in cucina, quella del piano terra. è perfettamente funzionante, pulita, trovo delle persone a lavoro, c’è chi cucina, chi pulisce…presa dalla fame vado davanti al frigorifero lo apro e comincio a cercare qualcosa da mangiare…arriva mia nonna, nonna claudia, con i suoi capelli raccolti e con il suo viso rilassato e rassicurante e mi dice di aprire i cassetti in alto del frigorifero dove c’è il formaggio, in realtà ce ne sono di vario genere, insomma ne trovo una vasta scelta, decido di prendere un pezzo di tomino già iniziato…la guardo, mi guarda, mi sorride e mi da anche un pezzo di pane, esco e torno in giardino dalle mie buste di plastica…

 

Passato e Futuro

Sono su via Giovanni Lanza.

Nel piazzale davanti ad un rivenditore di moto il mio amico Zac parcheggia la sua nuova auto.

“E’ una opel Rekord del ’77” mi dice “ed è in ottime condizioni!”

Zac mi fa vedere la carrozzeria bianca e gli interni blu;  mi mostra il volante, i coprisedili, le tendine posteriori.

Sono colpito dalle ottime condizioni dell’auto che assomiglia molto, nel sogno, ad una Fiat 131 o ad una Opel Ascona degli anni ’80.

Chiedo se l’auto sia provvista di trazione anteriore o posteriore, ma Zac dice di non sapermi rispondere.

Apriamo il bagagliaio dove troviamo, con mia grande sorpresa, un motore in ottime condizioni, pulito e ben lubrificato anche se visibilmente usato. Ne ascoltiamo il rombo e costatiamo il buon funzionamento degli ingranaggi.

Osserviamo che sul fondo del bagagliaio si è accumulata un po’ d’acqua piovana, ma riflettiamo sul fatto che sia un danno facilmente riparabile e una condizione non grave per una macchina del 1977.

Controllo con cura alcune guarnizioni staccandole dal loro alloggiamento e mi accorgo che una di queste è del tutto simile ad un anello che anni fa trovai per caso in un cassetto di casa mia e che tuttora conservo.

Zac è entusiasta del suo acquisto. Mi dice che a lui e alla sua famiglia serviva un’auto in più e mi racconta di aver scelto una macchina d’epoca per una questione estetica ma anche per una questione economica visto che per i veicoli storici è previsto un pagamento ridotto dell’assicurazione e del bollo.

Penso che Zac abbia fatto un buon affare viste le condizioni dell’auto; rimango però perplesso quando vengo a sapere che per comprare l’auto Zac ha dovuto pagare circa 15.000 Euro.

Mentre Zac mette in moto il suo nuovo mezzo e si allontana con un sorriso pieno di soddisfazione, io mi dirigo verso casa.

Improvvisamente mi trovo nel mio soggiorno a giocare con due bambini.

Sono padre e i miei due figli maschi hanno all’incirca 5/6 anni.

Sto giocando con allegria e mi stupisco di come il tempo sia passato in fretta.

Rifletto inoltre sul fatto che mi piacerebbe enormemente poter avere una figlia femmina e formare così un nucleo familiare numeroso.

Penso a G.V. e a come anche lui abbia avuto una figlia dopo molto tempo dalla nascita dei suoi due figli maschi.

I due fratelli

Io, A.M. e M.R. siamo nella cucina di casa mia. A. è ai fornelli, M. sorseggia un bicchiere di vino. Mi rivolgo ad A. chiedendogli se la sera prima, in occasione della cena al treebar, si sia offeso per qualche frase di Simona e se per questo abbia deciso di andare via così in fretta. A. mi risponde di essere tornato a casa per stare con sua figlia e per aiutare F. a preparare un esame universitario. Mi confessa, però, di essere stato leggermente turbato da un’affermazione di Simona. Prima che A. inizi a spiegarmi di cosa stia parlando, mi accorgo che davanti al lavello dei piatti ci sono due bambini. Capisco che sono due fratelli e do loro il benvenuto in casa mia dicendo: ” Oh! Ma non mi ero accorto che ci sono due bambini!” Poi mi correggo e dico: “Anzi, due ragazzi!” (ricordando come mi offendevo da piccolo quando alla loro età mi chiamavano bambino). A. mi dice che lui e M., prima di salire a casa, hanno incontrato una loro amica e l’hanno invitata a salire. Usciamo dalla cucina e M. me la presenta. E’ una ragazza mora, piuttosto bassa, sulla trentina, dall’aria semplice e un po’ sprovveduta. Mi dice di essere lieta di conoscermi. Ci intratteniamo per un po’ di tempo sulla porta della cucina mentre, faticosamente, tento di tenere desta l’attenzione e celare il mio disappunto per la sua inaspettata e inopportuna presenza in casa mia.

L’ufficio-ospedale

Con mia grande sorpresa vengo a sapere di essere stato trasferito di stanza e la mia compagna di lavoro altri non e’ che una vecchia collega con cui ho lavorato all’inizio della mia vita lavorativa. Contento di cio’ mi industrio per sistemare la stanza, ridotta in uno stato pietoso, molto somigliante ad uno studio di un artigiano. Assi di legno qua e la appoggiate a terra e alle pareti, le sposto, di poco… Poi torno ad occuparmi della scrivania. E’ posta longitudinalmente ad una delle pareti corte della stanza, al suo centro, accanto a quella della mia collega ed un vetro divide me e lei. Sulla porta appare il mio vecchio responsabile di cui non ho un bellissimo ricordo e subito capisco di essere tornato a lavorare per lui. Faccio notare la mia scontentezza ed esco dalla stanza con passo affrettato per andare a reclamare non so bene da chi. Mi dirigo fuori dell’edificio percorrendo un corridoio lungo con pareti verdine; arrivo ad una stanza all’interno della quale intravedo una doccia in funzione e dietro al pannello di vetro appannato spicca un fondoschiena (notevole) di una ragazza con pelle leggermente scura. Mi avvicino e piu in la c’e’ un uomo grassottello con un camice da infermiere verde, mi vedono e cambio strada. Esco dal portone a vetri dell’edificio e davanti a me un enorme prato brullo con pochi alberi. Mi dirigo a sinistra sul marciapiede grigio e inizio a correre ma quasi subito le gambe si appesantiscono troppo e faccio fatica a mantenere l’andatura.