Matrimoni improbabili

Mi trovo sul lungomare di Ostia, in un macchina color lilla o azzurro sbiadito. Sto cercando parcheggio. Insieme a me c’è Memme. Stiamo andando al matrimonio di C. D.. Trovo un posto e inizio la manovra ma ben presto mi rendo conto che non posso parcheggiare lì. Mi ritrovo nel luogo in cui sta per essere celebrato il matrimonio. E’ composto da un insieme di casolari tra i quali ci sono delle strade sterrate. Entro in una sorta di anticamera piena di colonne a sezione quadrata collegate l’una all’altra da archi. Quando intravedo la porta della stanza dove sarà celebrata la funzione mi rendo conto che è già iniziata… Attraverso la porta scorgo quello che penso sia lo sposo, che ora è A.E. ma mi rendo conto che è solo uno dei tanti invitati. Sta in piedi con le mani unite all’altezza del ventre. E’ molto attento e concentrato. Indossa un completo grigio scuro. Sulle sue labbra un impercettibile sorriso. All’improvviso mi ricordo che nello stesso momento e luogo si sposerà anche mia sorella V., con chi non si sa. Nonostante sia cosciente del fatto che nessuno riuscirà ad ascoltarmi, mi scuso del contrattempo e mi dirigo di fretta all’altro matrimonio.

Quando arrivo riconosco la maggiorparte degli invitati. Parenti per lo più. Anche io indosso un completo grigio scuro. Mi fermo in piedi in posizione molto arretrata rispetto alla sposa e cerco di intravedere una cugina in particolare, M.N.. ma non la trovo. Qualcuno mi fa notare che sono arrivato in ritardo dicendomi qualcosa del tipo “Sei sempre arrivato in ritardo”. Io non posso fare altro che confermare, rispondendo che nella vita, in effetti, ho sempre preso le decisioni in ritardo. Mi giro un attimo e scambio due parole di numero con una parente in cui però riconosco una collega. Presto attenzione alle prime file e vedo mia sorella alzarsi. Scosto un po’ la testa per cercare di capire chi diavolo sia lo sposo ma non riesco a vederlo. Mia sorella sembra essere serena e contenta. Esco.

Percorro una di quelle strade sterrate, tipiche dei casolari di campagna. E’ ricoperta da erba alta quasi come me ma riesco ad attraversarla con scioltezza e agilità, anche grazie al completo grigio scuro… Non so bene dove mi sto dirigendo ma mi ritrovo ad un altro matrimonio… Questa volta è la sorella di A.E che si sposa, G.E.. E’ alquanto diversa da come la ricordavo ma la riconosco ed inizio a parlarci. Ci fermiamo accanto ad un tavolo pieno di tartine di tutti i tipi. Durante la chiacchierata mi fa capire che il precedente matrimonio non ha funzionato e mi confida di aver scoperto di essere lesbica. La notizia mi lascia un po’ perplesso e tutto quello che riesco a dirle è: “Ma come, mi ricordo che eri così caruccia…”. Mentre mi parla vengo distratto dal suo naso che è molto appuntito rispetto alla realtà. Mi piace molto. Poco dopo capisco che la donna vestita di bianco sporco che si aggira nella stanza è la sua nuova compagna. E’ bionda e paffutella. La ritrovo in piedi su un tavolo enorme, posizionato al centro della stanza. C’è sicuramente della musica e l’illuminazione è un miscuglio di luci colorate tipico di una discoteca. La tipa è di spalle ripetto a me. Indossa una camicia rossa e un paio di leggings neri. Da lontano, attraverso le sue gambe divaricate riesco ad intravedere un potente getto d’acqua. Subito dopo realizzo che, da sopra il tavolo, sta facendo pipì sul pavimento, come un uomo e in maniera molto goliardica. Finito il poderoso scroscio si gira e mostra soddisfatta a tutti una bottiglia di plastica trasparente senza etichetta per farci capire che la stava usando per mimare la minzione. Tutti rimangono divertiti, io no. La performance continua. Altre bottiglie, altri liquidi, colorati e non, che vanno a finire in un vascone posto ai piedi del tavolo. Mi chiedo cosa ci sia al suo interno ma non riesco ad avvicinarmi per controllare.

Mia sorella M. ha subito una non ben identificata operazione (forse al viso) e mi sta cercando tra le corsie di un ospedale dalle pareti verde bottiglia e illuminato malissimo, per farmi vedere i risultati. Io non ne voglio sapere niente e cerco di sfuggirle ad ogni costo. Me la ritrovo su un lettino dotato di ruote che mi punta dal fondo di un corridoio. Mi dice qualcosa che non comprendo ma il suo atteggiamento è chiaramente scherzoso. Mi chiedo come faccia a far muovere il lettino standoci solamente sdraiata sopra. Indossa un costume nero a due pezzi.

Sto di nuovo percorrendo la strada sterrata tra i casolari ma questa volta indosso dei pantaloncini corti e una maglietta. Insieme a me vari invitati dei vari matrimoni. Questa volta, a causa dell’abbigliamento, faccio fatica ad attraversare l’erba alta, a cui si è aggiunta, tanto per facilitare l’impresa, dell’ortica gigante. Mi muovo con attenzione, cercando di scostare l’erba urticante. Lancio una scarpa da ginnastica grigia nell’erba per dimostrare qualcosa (non ricordo bene cosa) alle persone che sono lì con me. La strada in questione è leggermente in salita e quando raggiungo la sommità mi ritrovo, alla mia sinistra, uno slargo in terra marrone scuro dove ci sono altre persone.

Mi sveglio con un senso di insoddisfazione legato al fatto di non essere riuscito a capire cosa ci fosse nel vascone ai piedi del tavolo.

Baci e pratiche

Sono in una cucina grigia ad U in un appartamento un po’ buio insieme a L.S. a cui sto parlando di un infuso molto buono. Le mostro la confezione e per farlo mi avvicino. In pochi secondi siamo così vicini che iniziamo a baciarci appassionatamente.

Mi ritrovo, aihmè, nell’ascensore dell’uffico con in braccio una cofana di pratiche verdognole/azzurrine. Arrivato al piano terra noto che il collega A.V. blocca inavvertitamente la porta dal di fuori con il proprio corpo. È vestito tutto di bianco. Dopo un mio amichevole “ao” si sposta permettendomi di uscire, seppure a fatica, dall’ascensore.

Una volta fuori arrivo in uno stanzone con molti altri colleghi (di cui la maggiorparte sconosciuta) disposti tra scrivanie e mobili di un bel legno scuro in uno stile molto più vicino a quello di una casa piuttosto che a quello di un ufficio. Mi avvicino ad un paio di scrivanie e lancio una matita verso una di esse. La matita invece di cadere e rimanere, bene o male, sulla scrivania dove l’ho lanciata, inizia a rimbalzare e roteare fino a raggiungere l’altra scrivania che tra l’altro neanche confina con la prima. Faccio notare l’assurdo percorso della matita agli altri colleghi (che in realtà sono colleghe) ma nessuno mi presta attenzione.

Mi giro verso sinistra e vedo E.M., una vecchia compagna della comitiva sotto casa ai tempi delle superiori. La prendo in disparte e le chiedo se ha notato la mia richiesta di amicizia che le ho mandato su Facebook (richiesta che ho veramente inoltrato) ma lei dice di no e io mi rendo conto che lei non è un’assidua frequentatice del social network in questione. Lei cita il testo di una canzone che conosco e allora le chiedo se le piace Dieci (nel sogno è il cognome del cantante ma in realtà ci riferiamo a Moltheni). Mi risponde di sì e mi nomina altri titoli di sue canzoni di cui molti non esistenti descrivendo brevemente la sua preferenza per quella intitolata “Gli anni del malto”. Le dico che sono andato a vederlo a Bergamo in concerto a Marzo o Maggio (o in un altro mese che non esiste). In questo frangente E.M. è diventata una mia compagna delle elementari. Una collega che sta lí vicino a noi inizia a parlare del canante e io la fulmino dicedole con tono scherzoso “Non mi toccare Dieci eh!” aggiungendo poi un bel “Sto scherzando”.

Miscuglio

Mi trovo con il mio ragazzo in un paese arabo, siamo andati a trovare quella che nel sogno è la sua famiglia. Precisamente siamo in un luogo poco definito: a volte sembra un lager, poi diventa un treno in corsa.

Dal finestrino del treno mi rendo conto che quella che nel sogno è la sorella del mio ragazzo, cade dalla terrazza a testa in giù. Sitratta di una ragazza vetsita da araba, la vedo sempre da lontano, non riesco a vedere bene i suoi tratti somatici, ma il colore dominante è il nero. Fortunatamente riusciamo a salvarla anche se in coma.

Successivamente mi trovo nell’atrio di un edificio, molto simile ad un centro commerciale, c’è molta gente, allora entro in una stanza della casa dei genitori del mio ragazzo, è vuota, entro nel bagno e noto dallo specchio una figura, molto simile ad una donna impiccata. Faccio finta di niente, ma molto agitata cerco il mio ragazzo che nel frattempo si trova in mezzo ad una folla di gente. Lo chiamo, urlo e finalmente lo riesco a far passare. Nell’agitazione urto un buttafuori e mi fa capire che si serebbe vendicato del mio gesto, mi dice che non sonoi in Europa e lì queste cose sono punite.

Dico al mio ragazzo di guardare nel bagno e scopro di non essermi sbagliata e che la persona allo specchio è la sua madre musulmana. Stessa scena: non riesco a vedere i tratti del viso, il volto è scuro, vedo solo un corpo in degli abiti tipicicamente arabi neri.

Ci disperiamo, cominciamo a piangere, gli dico che c’é qualcosa che non va, che siamo in pericolo, penso a mio nonnno che nel sognio è appena morto, penso al’attentanto della sorella e adesso alla madre.

Agitata prendo il cellulare per chiamare mia madre, ma nella fretta faccio il numero della mia nonna materna che contenta di sentirmi comincia a chiacchierare, io le speigo che devo riattaccare e stando all’estero spendo troppo.

Finalmente parlo con mia madre, cerco di spiegarle la situazione, ma non ci riesco perchè lei comincia a parlarmi di tutti i suoi problemi…

Mi ritrovo alla Stazione Trmini prendo un autobus non troppo pieno, ad una fermata c’è una folla di gente che vuole salire, impaurita decido di scendere ma faccio fatica. Dovrei trovarmi su Via Casilina, ma non la riconosco, chiedo informazioni a due tizi che sono scesi con me e mi danno indicazioni per via casilina.

Finisco in un giardino, capisco dalla musica che ascolto che si tratta la casa di un ragazzo. Nel fratempo mi si avvicinanao dei cani, diventanio sempre più numerosi, impaurita lancio loro qualcosa da mangiare che avevo in mano. Esce il ragazzo a petto nudo, è biondo, molto magro, ci scambiamo alcune battute e poi esce dalla casa una mia collega dell’università.

Riunione nella mia stanza

Mi trovo ad una riunione con altre persone e il mio Prof della specializzazione con cui faccio anche il tirocinio. C’era da esporre un caso clinico e ricevo una telefonata da un mio collega che mi dice che sta male (era una scusa per non venire alla riunione) ridendo, e mi chiede di non dirlo a nessuno e di “coprirlo”, io accetto e gli rispondo che il prof tra poco uscirà quindi lo avverto di stare attento (il mio collega si era messo fuori la porta d’ingresso) e di non farsi vedere. Scopro a metà del sogno che la riunione era nella mia stanza e il Prof. mi suggerisce che una paziente poteva essere sistemata vicino al mio letto; mi giro e vedo una brandina disposta affichè la paziente potesse dormire, con un piumone di colore scuro!!!!