Il grande quadro colorato e la cerniera lampo

Dopo aver sognato di attacchi di streghe, coltelli lanciati, insetti tagliati,  un sogno colorato ha reso la mia notte più serena. Stanotte infatti ho dipinto una tela grande quanto una parete con righe orizzontali di colore blu, grigio e giallo. Due cerchi di colore rosso, uno nella parte alta del quadro, uno nella parte bassa, creavano movimento. L’ambientazione sembrava essere quella dello studio di Haber nell’ultimo film di Veronesi “L’ultima ruota del carro” che tanto mi è piaciuto (nonostante qualche piccola e, nel complesso, irrilevante debolezza). Facevo vedere il quadro a T.C. che non sembrava entusiasta della mia opera, ma mi comunicava comunque il suo vivo interesse per la mia rinnovata creatività. Per terminare il quadro apponevo sulla tela un lembo di lenzuolo, colorato di grigio, rosso e verde, con una cerniera lampo gialla cucita sopra. Confrontando la dimensione del lembo con quella della tela mi accorgevo che avrei preferito trovare una cerniera lampo, magari rossa e di grandi dimensioni, da cucire verticalmente nella parte sinistra del quadro.

Il tubetto di dentifricio & Co.

Seduto ad una scrivania, nell’appartamento di N.P, di fronte a me un monitor di un computer. Cerco un dentifricio per potermi lavare i denti. Ne trovo uno e lo compro (dove non si sa). Appena lo apro mi accorgo che ce n’era già un altro aperto, appeso ad una mensola di legno. Resto colpito positivamente dal modo in cui N. lo ha appeso ad un gancetto, infilato nella parte piatta posteriore del tubetto, a testa in giù. In questo modo basta aprire il tappo e premere per depositare del dentifricio sullo spazzolino. Il tubetto è di un bel giallo ocra. Quello che ho comprato io è tendente al blu. Appendo il mio tubetto alla mensola accanto a quello già presente.
Nell’altra stanza dell’appartamento c’è delle gente. Forse mi trovo lì per una festa. Ma la sensazione che ho dentro mi suggerisce che il resto delle persone presenti si stia preparando per uscire. O forse sono io che so che dovrò uscire di lì a poco. So che c’è un concerto a cui vorrei partecipare.
Dietro di me una finestra. Mi affaccio, c’è una piscina condominiale illuminata. E’ notte e l’effetto che fa è molto piacevole. Il tipico colore celeste delle piscine si staglia nell’oscurità del giardino condominiale.
Mi ritrovo di nuovo alla scrivania, che è sistemata in uno degli angoli della stanza. Alla mia sinistra il muro che confina con l’appartamento adiacente. Anche il muro è giallo. Sento delle voci. Appoggio l’orecchio al muro per ascoltare. Nel frattempo mi viene in mente che l’appartamento di N. sia quello e non questo in cui mi trovo. Inotlre mi rendo conto di stare nella casa di G. a San Quirico.
Accanto a me ora ci sono due ragazze. Si stanno preparando per uscire, una di loro è K.L.. Le rivolgo la parola, le faccio una domanda. La sua risposta è “Eh… è perchè ti puzzano le ascelle.”. Le rispondo a tono dicendole “Sempre meglio le ascelle che il culo.”.

Ho anche sognato che avevano arrestato mio suocero…

Prima di mettermi a letto, invece, mi sono addormentato sul divano dove ho sognato di guidare un pullman/camion bianco su una strada sterrata a tutta velocità, non curante di tutto quello che trovavo sul mio cammino. Tutto quello che ricordo è che pestavo l’acceleratore in maniera esagerata e travolgevo qualsiasi cosa trovassi sulla strada.

Luogo di lavoro

Sono in un grande appartamento posto al primo piano. Sembra essere un luogo di lavoro, una struttura da poco restaurata. Sono il proprietario/responsabile e mi aggiro per i vari locali controllando che i lavori siano stati eseguiti nel migliore dei modi.

Incontro Fabio, un mio amico architetto, il quale sembra molto affascinato da un contenitore in plastica arancione lasciato dagli operai  che hanno ristrutturato gli ambienti. E’ un contenitore che, già da un po’ di tempo (nel sogno), avevo deciso di dare ad un papà per l’educazione di suo figlio. Fabio mi chiede di regalargli l’oggetto. Ne ammira le caratteristiche evidenziandone i pregi e facendomi notare la qualità del design. Curve morbide, materiali recentemente scoperti, superfici liscie ed elementi porosi caratterizzano l’oggetto.

Io parlo con Fabio trattandolo come il papà al quale ho deciso di dare il contenitore. L’oggetto, dico, è perfetto per contenere la giusta quantità di latte per una crescita equilibrata del figlio. Il contenitore così potrà servire da limite per il papà che, con difficoltà, regola l’intensità delle emozioni riversate sul bambino e con facilità, anche nei momenti meno opportuni, tende ad eccedere nelle manifestazioni d’affetto.

Mi accorgo che Fabio non capisce; decido allora di spiegarlgi con chiarezza che, già da tempo, avevo deciso di regalare il contenitore ad un papà per aiutarlo nel difficile compito dell’educazione di un figlio.

Fabio allora mi chiede di fare un giro per vedere l’esito dei lavori. Decido di mostrargli per prima cosa una culla che, chiusa attraverso incastri e meccanismi sapientemente progettati, si apre davanti ai nostri occhi grazie ad alcuni miei abili e precisi movimenti, appresi di recente grazie alle spiegazioni dei tecnici del cantiere.

Dentro la culla ammiriamo, quasi fosse un presepe, un paesino innevato nel quale domina una tranquilla atmosfera natalizia. Ogni cosa sembra avere vita propria e la chiusura così sofisticata, difficile da aprire per una mano inesperta, sembra essere stata progettata per proteggere il mondo prezioso in miniatura che, nella culla, pulsa di vita e di energia propria.

Dopo aver richiuso l’oggetto Fabio, estasiato dalla bellezza dei lavori, ammira una piramide al centro di una stanza. Notiamo inoltre che una parete è stata abbattuta per permettere di accedere ad un piano inclinato che porta alla piramide. Saliamo quasi per gioco sul piano inclinato e ci affacciamo alla finestra a vetri sopra la piramide.

Una vasta distesa di verde si estende davanti all’edificio.

La visita ai locali è terminata e Fabio, abile architetto, mi fa i complimenti per l’intervento professionale ed estremamente creativo che ho fatto eseguire per migliorare il mio luogo di lavoro.

In… tre viaggi

Al centro di una foresta vi era un grande palazzo in stile liberty. Dentro io ed altre persone avevamo appreso la notizia che dovevamo fuggire da lì, perchè un virus stava già uccidendo molte persone. Allora ci precipitiamo fuori…alcune persone rimangono dentro sdraiate in brandine. Usciamo e cerco di capire quanti eravamo rimasti; circa una decina…Iniziamo a prepararci per un viaggio insieme al gruppo di superstiti.Cerco di far conoscenza con tutti o quasi. Mi curo di non dimenticare niente per la scalata alla montagna che si ergeva davanti a noi: scarponi, ganci, corde, ramponi. Iniziamo la scalata…

Mi trovo in una macchina con mia madre e i genitori di D. La macchina corre lungo una scarpata che da sul mare. Saltiamo e andiamo a finire in acqua… Riesco ad uscire, mentre parlo con mia madre, saltando su uno scoglio lungo la parete e per arrivare dall’altra parte mi aiuto con le mani spostando una parte della roccia/parete come se fosse un cassettone a scorrimento.

Eccoci ritrovati tutti quanti (il gruppo che ha scalato la montagna) lungo un sentiero alberato…sembra autunno per le tante foglie cadute. Il sentiero corre lungo diritto e noi tutti, stanchi, ci avviamo cercando di sorreggerci tra di noi!

Il figlio di Alessia Marcuzzi

Sono in una palestra dove c’è anche una parete finta per le arrampicate e davanti alla parete c’è in piedi un bambino biondo e grasso. Il bambino ha le mani infilate in una nicchia quadrata scavata nella parete e deve avvitare le due metà di una sfera di plastica e non ci riesce. Io sono alle sue spalle e sto parlando con il suo istruttore e dico: “Certo che è proprio imbranato questo ragazzino!”, poi dico al ragazzino: “hei biondo! ma proprio non ci riesci?”. L’istruttore mi dice che il bambino è il figlio di Alessia Marcuzzi ed io, allora sono ancora più schifata perché mi sembra ancora più grasso e goffo e commento con l’istruttore: “certo che deve essere proprio un mollaccione viziato!”. (Si commenta da sé…)