Due loschi figuri

Sono a Piazza Cavour nel giardino della piazza a passeggio con mio figlio ancora neonato e due tizi loschi sui 60 anni mi indicano il palazzo della Corte di Cassazione (che nel sogno è la sede del Gioco del Lotto) e mi dicono che ad una data ora ci sarà il solito trasferimento di soldi da un conto corrente ad un altro. Mi dicono anche che hanno preparato un computer all’interno del palazzo per inserirsi in questo trasferimento di soldi e “deviare” €250.000,00 sul mio conto, per poi dividere anche con me il bottino.

Poco dopo mi ritrovo davanti a questo computer, che nel sogno assomiglia alla classica bomba dei film con il filo rosso e blu, e sono io stessa ad eseguire il furto trasferendo sul mio conto i soldi.

Dopo averlo fatto mi ritrovo nuovamente fuori dal palazzo dove i due loschi figuri mi dicono che mi hanno accreditato €53.000,00 come da accordi.

Inizio a vagare per luoghi sconosciuti in preda alla paura/certezza di essere scoperta, perché so che sarà facilissimo risalire a me dal mio numero di conto corrente e mi maledico per essere stata così stupida ed essermi lasciata convincere. Oltre a questo si aggiunge la paura di dire a mio marito che sto per essere arrestata e confessare ciò che ho fatto.

Cerco il mio cane

Sono con mia madre su Corso Vittorio Emanuele quando le chiedo di entrare con me in un’erboristeria/negozio di spezie e tè. Le dico che voglio comprare una particolare miscela di tè orientale e, mentre lo dico, mi meraviglio io stessa di essere entrata lì dentro con lei perché so che questi posti non le piacciono e penso che anche la mia fase “erboristeria/roba orientale” è finita da un pezzo.
All’improvviso ci troviamo lungo via del Governo Vecchio e con noi c’è anche Chico, il mio primo cane, che cammina senza guinzaglio (cosa mai successa in città) e la cosa mi sorprende e mi fa essere leggermente inquieta, tuttavia non dico nulla.
Percorriamo tutta la via e, al momento di tornare indietro, mi accorgo che Chico è scomparso (anche mia madre non c’è più ma nel sogno non mi sembra strano).
Ripercorro tutta la via a ritroso chiamando Chico con la voce rotta dal pianto e vorrei gridare più forte per fami sentire meglio ma il nodo alla gola non me lo permette.
Via del Governo Vecchio sembra la strada di una cittadina di mare, con i negozi a destra e a sinistra che vendono magliette, ciambelle, materassini, ecc… però da una delle traverse vedo Piazza Navona con le bancarelle natalizie… Del mio cane nessuna traccia.

Il gatto bambina

Passeggio nella piazza di un paesello non ben identificato quando scorgo un gattino minuscolo che dorme beato ai piedi delle scalette di una casa. È leggermente striato, di un bel mix si colori molto chiari tendenti all’acquamarina… Mi assale una voglia incontrollata di accarezzarlo e coccolarlo ma quando vado per prenderlo il gattino ai dimena e cerca di scappare. Gli dico di non scappare perchè voglio fargli solo tante coccole. Lo riprendo più e più volte fino a che non lo afferro saldamente e me lo porto in braccio. Inizio ad accarezzarlo sulla pancia e sotto il mento e a lui piace. Dopo poco noto che ha preso le sembianze e dimensioni di una bambina di circa cinque anni. Ha un viso bellissimo e degli occhi splendidi dello stesso colore che aveva il pelo del gatto. Le dico che è molto bella e, mentre la poggio a terra, che lo sarà ancora di più quando tornerò a trovarla tra quattro o cinque mesi.
Cambio di scena e mi ritrovo sul marciapiede di una città qualsiasi. Sono di fronte a un locale forse in attesa di entrare. Arriva una ragazza che forse conosco. Non mi nota e decido di stringerle il braccio affinchè mi veda. Si gira, è F.F., ma rispetto alla realtà è molto più alta e snella. Indossa un cappottone nero e ha i capelli lunghi, lisci e castani. Ci salutiamo. Mi giro verso l’altro lato della strada, guardo verso una sorta di macelleria, so che F.L. è andata a comprare la carne.
Mi ritrovo sullo stesso marciapiede ma poco più in là del locale, accanto ad un alberello. Con me ora c’è F.L.. Le racconto di aver sognato il gattino di cui sopra, dicendole anche di aver appreso, nel sogno appena fatto, che il termine “barboncino” in origine era stato coniato per i gatti.

I piccioni subacquei

Sono in un parco, nella sua mattonata e grigia piazza centrale. Intorno a me un po’ di gente, delle panchine e un ponte al quale mi accingo ad affacciarmi. Sotto c’è un laghetto le cui acque, tendenti al verde smeraldo, sono così trasparenti da permettermi di vederne il fondo. Sott’acqua una quindicina di piccioni grigi sguazzano felici e frenetici cercando di rubarsi a vicenda le briciole di pane cadute in acqua.
Proprio mentre mi interrogo sul come dei piccioni riescano a vivere sott’acqua ne scorgo uno morto sul fondo. Sotto di lui un’altro piccione cerca di spingerlo verso l’alto aiutandosi col becco ma non ce la fa e rischia a sua volta di morire affogato.
Quindi desiste e cerca di tornare in superficie con non poche difficoltà. Al primo tentativo sfiora la superficie ma torna inesorabilmente giù. Mi guarda, lo incoraggio. Ha cambiato dimensioni, colore e anche forma. Ora infatti assomiglia più a un delfino bianco. Prova di nuovo a risalire e grazie ai miei esortamenti accorati supera il confine acquatico e si allontana in volo. Sorridendo lo seguo con lo sguardo.

Ex cameriere e padre di famiglia

Sono in un ristorante. Capisco nel sogno che è un ristorante nel quale ho lavorato in passato (non ho mai fatto il cameriere). Ci sono molti clienti e vedo i miei ex-colleghi barcamenarsi con difficoltà tra le mille cose da fare. Decido allora di dare una mano e mi dirigo verso un tavolo dove un cliente, del tutto simile a mio padre da giovane, mi chiede delle posate pulite. Al suo fianco un ragazzino antipatico e con la puzza sotto il naso rinnova l’invito del padre a portare in fretta le posate. Entro nelle cucine e tento di recuperare velocemente un po’ di posate, ma nella confusione generale non riesco a concludere assolutamente nulla. Penso che forse ormai non sia neanche il caso di tornare al tavolo visto il tempo trascorso dalla richiesta. Immagino che il cliente possa aver chiesto aiuto ad un altro cameriere ed aver quindi già ottenuto le posate pulite.

Decido quindi di uscire dal ristorante. Mi trovo così in una piazza di un paesino. La piazza sembra una pista di un trenino da Luna Park e, allo stesso tempo, il giardino dell’asilo nido dove lavorava mia madre quando ero piccolo.

Tra la gente, vicino ad alcune bancarelle, intravedo il mio cane. Gli faccio un po’ di coccole parlandogli dolcemente e stupendomi della sua adeguatezza nel rimanere a lungo da solo in un contesto del genere.

Dall’altra parte della piazza c’è un bambino. E’ mio figlio. Ha circa tre anni e sta cercando di farsi accettare da un gruppo di bambini, desideroso di giocare con loro a guardia e ladri.

Il leader del gruppo sembra non gradire la sua presenza. Mio figlio viene spintonato e cade a terra. Gli dico di non piangere e di trovare una soluzione alla questione senza far vedere che è così intimorito dalle circostanze. Dopo avergli dato il consiglio mi pento immediatamente pensando che debba essere lui, secondo il proprio carattere, a trovare una soluzione alla difficile situazione. Attraverso questo mio intervento, penso, rischio di trasferire su di lui i miei problemi senza permettergli di sperimentare le proprie potenzialità, le proprie debolezze e le poprie capacità.

Dopo pochi secondi mi accorgo che il leader del gruppo sta ridendo a crepapelle a causa di una battuta di mio figlio.

L’intero gruppo ormai ha accettato mio figlio. I bambini ora corrono in cerchio e si inseguono per la piazza divertendosi e chiamandosi per nome.

Da Campo de Fiori a Piazza Vittorio

Sono dalle parti di Campo de’ Fiori in compagnia di un gruppo di amici che nella realtà non conosco affatto. Ho diciassette anni e il mio vestiario ed i miei atteggiamenti corrispondono a quelli di un tempo. Roma è invasa da morti viventi e le persone scappano terrorizzate alla ricerca di un posto sicuro dove passare la notte.

I miei amici hanno parcheggiato in piazza i loro motorini e mi propongono di correre fino al parcheggio per poi scappare e metterci in salvo. Correndo per le vie del centro, un gruppo di ragazzetti tende un agguato ad uno zombie rimasto da solo massacrandolo di botte. Un panettiere, spingendo una carriola, insegue il suo cane nel tentativo di fermare la sua corsa verso zone pericolose infestate dagli zombies.

Il panettiere corre fino a quando si accorge di essere entrato in una zona troppo pericolosa per lui. Decide quindi di fermarsi e, con enorme dolore, di non correre il rischio di essere ucciso per salvare il suo cane. Critico il comportamento del panettiere poi, riflettendo meglio, ipotizzo che, se fossi stato nella sua stessa situazione, avrei probabilmente agito nella stessa maniera. Arrivati davanti ai motorini, mi accorgo che il mio amico possiede un vecchio Benelli a marce con la sella corta.

Domando al mio amico come creda di poter scappare con un veicolo del genere e ragiono sulla effettiva difficoltà di sedersi in due su quel mezzo. Alla sinistra del Benelli scorgo uno scooter cinquanta, rapido e scattante, con le chiavi d’accensione inserite. So che si tratta del motorino di uno degli amici del mio amico e, nonostante sappia che servirà a lui per fuggire e sopravvivere, decido di rubarlo e scappare più in fretta possibile. Iniziata la fuga, mi ritrovo nuovamente a Campo de Fiori, senza motorino, in compagnia degli amici, come se il furto l’avesse compiuto un’altra persona. Ci rifugiamo dentro una scultura in rame dalla forma circolare.

Un panettiere/cameriere ci serve un pezzo di pizza bianca del forno di Campo de’ Fiori. Dividiamo equamente la razione di cibo, consapevoli della difficoltà di rintracciare alimenti in una Roma invasa dai morti viventi. Davanti a noi una ragazza alta con i capelli rossi ed una ragazza cinese, truccate da zombie, sono in attesa di entrare in un negozio di fotografia per ottenere un impiego.Ci accorgiamo che le ragazze sono truccate e che probabilmente sono delle attrici appena uscite da un set cinematografico. Le ragazze entrano e ascoltano il discorso del proprietario del negozio (molto simile al mio amico P.P.) il quale spiega ad un nutrito gruppo di persone quali siano le caratteristiche ideonee per poter ottenere il posto di lavoro.

Terminato il discorso il ragazzo si intrattiene a lungo con la ragazza truccata da zombie. Parlano per un po’ di tempo, scherzano, flirtano e poi iniziano a baciarsi e a fare l’amore. Pochi secondi dopo mi accorgo di uno strano pulsare nelle vene del piede della ragazza. Capisco che a breve si trasformenrà in un terribile mostro.Nel momento in cui lo zombie appare, l’immagine della ragazza si sdoppia in una parte buona e a fuoco e in una parte cattiva sfocata e trasparente. Il ragazzo si chiede come sia possibile che, dopo aver fatto l’amore, la ragazza possa desiderare di ucciderlo. La parte buona della ragazza, sentendo tali pensieri, si sforza di fermare la parte zombie. La lotta è molto faticosa, ma la ragazza ottiene una schiacciante vittoria sulla parte cattiva salvando il ragazzo da una morte sicura. La scena cambia radicalmente.

Sono a P.zza Vittorio e acquisto due periodici dedicati ai alle macchine d’epoca. In entrambe le copertine spiccano due modelli perfetti di opel Kadett 1000, la mia prima macchina ricevuta in eredità da mio nonno. A Largo Brancaccio un gruppo di persone di origine filippina è radunata a bere birra e chiacchierare. Davanti a me una perfetta Opel Kadett di colore azzurro. Mi avvicino timidamente e chiedo chi sia il proprietario del veicolo d’epoca. Spero così di riuscire ad entrare nuovamente in una Opel Kadett per ammirarne i sedili, il quadro, il volante e respirare l’odore che sentivo quando ero poco più che adolescente dentro la mia macchina.

Un ragazzo cinese/indiano dalla faccia simpatica mi racconta la sua passione per la Kadett, come curi con grande attenzione la carrozzeria ed il motore. Mi racconta di vivere dalle parti di Cinecittà e di come sia difficile spostarsi per Roma con un veicolo così antico e prezioso. Mostro al ragazzo le due riviste, dalla forma bizzarra di pila/supposta, e domando quale sia l’anno di immatricolazione del veicolo. “1975 o 1976?” chiedo “1976” risponde il ragazzo. Stringiamo un’amicizia che mi sorprende per la vicinanza di interessi nonostante l’apparente diversità culturale.

A scuola con ansia?

Sono in ritardo (non secondo un oggetivo calcolo temporale ma secondo le mie ansie) perchè ho un laboratorio da fare in una scuola e sono stracarica di materiali da portare (come al solito!). Dovrei arrivare a Piazza Vescovio e mi trovo all’incirca a Piazza Bologna.

Sono sicura, anzi certa, che proprio quel giorno inaugura la nuova metropolitana, per cui do appuntamento alle colleghe, C e C, alla fermata nuova (ma a Piazza Bologna ovviamente la metro nuova non passa, ne esiste già una!). Arrivo comunque in anticipo all’appuntamento e, aimè, scopro che quel giorno si inaugura solo un vagone nuovo della metro che, tra l’altro, viaggia in superficie facendo solo il giro della piazza! Che fare? Cerco di sentire G, il mio compagno, per ottenere la macchina, ma lui mi farfuglia cose al telefono incomprensibili… Allora arrivano C e C, una in motorino l’altra a piedi, impossibile risolvere la situazione.

Si è fatto tardi e l’ansia aumenta. Nessuna di noi pare abbia più la possibilità di telefonare, io perdo il mio cellulare, e chiedo ad una signora di telefonare dal suo, ma non ho nessun numero per contattare l’insegnante! Intanto siamo in netto ritardo con la classe, e solo io sembro preocuparmi. Ad un certo punto arriva l’insegnante MG che sta facendo uscire i ragazzi da sola, io la vedo e mi scuso per l’incoveniente e lei, come se non mi riconoscesse, passa oltre con aria indispettita.

Solo allora mi sveglio, devo andare a scuola davvero, per fortuna ho la macchina…

Bulli al bar e il furto dell’auto

Mi trovo in un bar insieme all’ex ragazzo muscoloso di mia sorella S. Siamo li perche’ deve incontrare dei tipi con cui regolare dei conti.
I tipi sono già lì, sono piu grossi di lui ed uno ha un cane enorme al guinzaglio. Io sono al bancone e prendo una pastarella trasparente sulla quale spicca un cuoricino rosso di glassa, la mangio e mi accorgo che non sa di niente, e’ quasi inconsistente… Nel mentre esprimo il mio parere sui cani al tipo enorme accanto a me dicendo: “A me i cani non piacciono”, senza accorgermi di averlo fatto incazzare piu di quanto lo era gia per i motivi legati all’ex ragazzo di mia sorella. Esco dal bar.

Rientro poco dopo e noto che M. (l’ex di mia sorella) le sta prendendo di santa ragione dai tipi. Spaventato e incazzato allo stesso tempo, afferro una sedia bianca di plastica per una gamba e la agito in aria cercando di individuare la traiettoria piu idonea ed efficace per spaccarla addosso al tipo del cane ma lui si accorge di me e mi devo fermare per non vanificare il mio attacco. Ho lo sguardo torvo, preoccupato, tutti si fermano, un tipo in fondo al bar tiene M. per la maglietta. Dopo pochi secondi di silenzio generale dico “Allora, che dobbiamo fare?”… Poi, conscio del fatto che non avrei potuto fare niente poso la sedia e me ne vado fuori dal bar…

Entro nella mia macchina, una station wagon grigia, nuova di pacca. Decido di spostarla non so bene per quale motivo ma non riesco a trovare una collocazione tale da lasciare sulla strada spazio utile al passaggio di altre macchine. Faccio la prima manovra e mi posiziono in seconda fila, non mi piace. Seconda manovra, a spina di pesce accanto ad un’altra macchina in prossimita’ di un garage. Non mi piace neanche questa, anche perche’ ingombro leggermente l’entrata del garage.

Mi ritrovo su una strada sterrata che conduce in campagna, sempre in macchina. Sto andando in un posto a me conosciuto. Lascio la macchina in un piazzale e mi dirigo, a piedi, verso una stradina la cui fine e’ sbarrata da una recinzione in fil di ferro, di quelle a rombo per intenderci. La recinzione poggia du di un muretto di cemento. Mi sto per fumare una sigaretta quando mi viene in mente di aver lasciato la macchina incustodita con le chiavi attaccate.

Mi precipito verso il piazzale abbastanza tranquillamente pensando al fatto che in un posto sperduto come questo nessuno avrebbe potuto prenderla. Arrivo al piazzale e niente macchina. Un po’ più preoccupato ripercorro a ritroso la strada sterrata dalla quale sono arrivato perche’  credo di aver lasciato l’auto lì ma non la trovo. Torno indietro e dal piazzale dirigo lo sguardo verso un garage/officina posizionato su di una collina. So che la macchina sta li, rubata dal proprietario. Lo so bene perche’ era gia successo alla Panda che avevo prima della SW.

Mi dirigo verso l’officina e da un primo momento sembra non esserci nessuno. Appena arrivo inizio a gridare “Rivoglio la mia Alfa!” e mentre sono in prossimita’ dell’entrata mi giro di colpo e vedo il proprietario (un pischello) corrermi incontro minacciandomi con un falcetto che tiene in mano. Io mi difendo con un pezzo di legno e blocco il falcetto al volo. Iniziamo una discussione, con l’invito da parte mia, di effettuarla in modo pacato e civile. Dico al tipo in modo scocciato che vengo lì da quelle parti per fuggire dal caos cittadino e per stare tranquillo e che vedermi rubare l’auto e’ una cosa veramente brutta. A queste parole il tipo si calma immediatamente e si comporta come se fossimo amici di lunga data. Mi confida che vorrebbe andare a vivere in città. Io gli dico che non si rende conto di cosa ha detto e gli propongo di scambiarci le abitazioni. Ridiamo tutti e due. Nel frattempo la macchina ancora non mi e’ stata restitutita….