Amici cresciuti e portafogli perso

Sono in un locale notturno, forse a un concerto. La sala in cui mi trovo è ampia e tutta in legno… tinte rosso bordeaux qua e là. Nell’angolo di fronte a me c’è una tavolata. Intravedo un paio di persone che conosco. Una di loro è T.G. e siede di spalle. In realtà è come inglobato nel grande tavolo di legno e solo la testa, su cui poggia un bel cappello a falda larga, è visibile. Mi avvicino per salutarlo, sicuro che la sua sorpresa sarà grande dal momento che è tanto tempo che non ci vediamo. Faccio una battuta sul fatto strano della testa poi lo saluto appoggiando le mani sulle sue spalle. Rimango un po’ deluso perchè non si sorprende poi tanto… anzi, per niente… ma non lo do a vedere. Si gira, ci salutiamo e noto subito la giacca e gilet che indossa. La giacca è di velluto marrone, a coste larghe. Il gilet è di tessuto anch’esso marrone. Non è il T.G. che ricordo poichè lo trovo… come dire… cresciuto… E’ molto più alto che nella realtà e anche la corporatura è proporzionata all’altezza. Dimostra comunque l’età che ha nella vita reale. La voce mi colpisce particolarmente, molto profonda. Mi fa pensare che sia a causa della fase dello sviluppo…

Mi ritrovo davanti a un teatro con alcuni amici. Ricordo bene la presenza di M.R.. Dobbiamo entrare a vedere uno spettacolo ma alla fine, non so per quale motivo, io non entro. Mi ritrovo a sonnecchiare piacevolmente in un letto, sotto a un enorme piumone. La location però è un po’ inquietante… In effetti ‘sto letto si trova in una specie di garage senza saracinesca, dalla cui entrata si riesce a vedere la strada della città in cui mi trovo. Non ricordo come sono finito lì ma provo una sensazione di smarrimento. Sono in mutande e mi preoccupo del fatto di aver perso il portafogli… Per strada, di notte, con un lenzuolo a coprire le intimità, racconto ad una ragazza mora vestita di bianco della mia perdita sperando che mi possa aiutare a ritrovare documenti, soldi e quant’altro fosse contenuto nel portafogli… Mi consiglia di ripercorrere a ritroso le ultime ore in modo da poter capire dove e come lo abbia perso ma pur sforzandomi non riesco a ricordare niente… zero, il vuoto!

Matrimonio a Montecarlo

Sono stata invitata al matrimonio di C., una ragazza molto più giovane di me che nella vita reale conosco ma vedo solo qualche giorno d’estate. Il Matrimonio sarà a Montecarlo e, mentre io cerco di decidere se andare in aereo si offre di accompagnarmi in macchina Piero Pelù. Io sono entusiasta all’idea di fare il viaggio con lui e accetto ben volentieri.

Una volta partiti, all’altezza del primo autogrill, mi rendo conto di aver dimenticato il mio beauty-case a casa, con i trucchi e le creme e mi secca molto il pensiero di dover ricomprare tutto doppio non sapendo neanche se troverò davvero i prodotti che mi servono… e già parte del buonumore è sfumata.

Più in là, durante il viaggio, domando a Piero Pelù che sta guidando quanto manca per Montecarlo ed il nome del nostro albergo ma lui mi risponde che in realtà non alloggeremo proprio a Montecarlo ma a (nome di un paese che non ricordo) che io so essere un posto orribile.

Scoperta la notizia il mio buonumore sparisce definitivamente e inizio a maledirmi per avere accettato il suo passaggio e medito di dirgli che i suoi ultimi dischi sono orribili e che da anni ormai non è più all’altezza dei vecchi Litfiba ma poi decido di non dire nulla perché mi sembra troppo offensivo e resto seduta in macchina con il broncio.

Gelosie estive

Mi trovo seduto ad un tavolino quadrato di legno, sotto all’incannucciata del portico di un bar di una località marittima non ben identificata. Di fronte a me un bicchiere pieno di un succo di frutta qualsiasi. Il tavolino è posto al limite del portico e dà sul vialetto di mattoncini color cotto, io do le spalle al bar.
Una ragazza con un seno enorme e sodo passa di fronte a me. Indossa una maglietta bianca mezza trasparente e ha un’andatura talmente ritmata da farle agitare il seno. La seguo con lo sguardo e nel momento in cui si ritrova alla mia estrema sinistra noto che il suo seno ora è particolarmente calato…
Resto con lo sguardo puntato alla mia sinistra e noto un ragazzo e una ragazza che si azzuffano sulla sabbia. In realtà il ragazzo pare sia inciampato e sta quindi cadendo sulla ragazza che tra l’altro è in topless… L’aspetto più interessante però è che la scena si svolge al rallentatore e questo mi da modo di prepararmi con tutta calma ad evitare le secchiate di sabbia che stanno alzando.
Con altrettanta calma, attenzione ed interesse, osservo anche il lentissimo movimento del seno della tipa coinvolta.
Il rallentìo termina e la tipa, da terra, scalcia della sabbia sul didietro del tipo. Me li ritrovo accanto che discutono dell’accaduto, davanti ai miei occhi il didietro insabbiato del ragazzo.
Chiedo a S.P., che si trova oltre il portico del bar, come sia andata la sera prima. Mi risponde “Ha fatto il bravo, ma io non…”. Ma non riesco a capire la fine della risposta. Risposta che comunque non mi soddisfa dal momento che ero sicuro che la sera prima sarebbe dovuta andare fuori città e non uscire con qualcuno.
Alla mia destra, sdraiata su un lettino, c’è M.G.M.. Ha i capelli neri e leggermente mossi e indossa un bikini dai toni azzurri. Mi illumina sulla risposta di S. dicendomi a voce bassa “È uscita con lo storico, è molto bello.”, intendendo per “storico” lo studioso di storia. Nel frattempo S. sta giocando con dei bambini in una voragine erbosa in cui sparisce… Mi ingelosisco un po’ e giro lo sguardo verso sinistra, verso l’uscita dello stabilimento, pronto a fare una scenata coi fiocchi così che S. si renda conto di quanto tenga a lei.
Cambio idea e decido di entrare nel bar. Chiedo a M.G. se vuole qualcosa e dopo una serie di “Niente grazie.” decide per un lemonissimo.
Entro nel bar e mi rendo conto che in realtà è più che altro un ristorante. Alla mia sinistra una cameriera è intenta a fare la scarpetta in un vascone enorme dove è rimasto del sugo e dei gamberetti. Dopo qualche tentativo riesce a raccogliere del sugo, evitando di portare su anche i crostacei, e si porta, in maniera molto teatrale, il pezzo di pane alla bocca. Lo fa velocemente per non farsi beccare dal principale. La ritrovo seduta ad un tavolino.

Il gatto bambina

Passeggio nella piazza di un paesello non ben identificato quando scorgo un gattino minuscolo che dorme beato ai piedi delle scalette di una casa. È leggermente striato, di un bel mix si colori molto chiari tendenti all’acquamarina… Mi assale una voglia incontrollata di accarezzarlo e coccolarlo ma quando vado per prenderlo il gattino ai dimena e cerca di scappare. Gli dico di non scappare perchè voglio fargli solo tante coccole. Lo riprendo più e più volte fino a che non lo afferro saldamente e me lo porto in braccio. Inizio ad accarezzarlo sulla pancia e sotto il mento e a lui piace. Dopo poco noto che ha preso le sembianze e dimensioni di una bambina di circa cinque anni. Ha un viso bellissimo e degli occhi splendidi dello stesso colore che aveva il pelo del gatto. Le dico che è molto bella e, mentre la poggio a terra, che lo sarà ancora di più quando tornerò a trovarla tra quattro o cinque mesi.
Cambio di scena e mi ritrovo sul marciapiede di una città qualsiasi. Sono di fronte a un locale forse in attesa di entrare. Arriva una ragazza che forse conosco. Non mi nota e decido di stringerle il braccio affinchè mi veda. Si gira, è F.F., ma rispetto alla realtà è molto più alta e snella. Indossa un cappottone nero e ha i capelli lunghi, lisci e castani. Ci salutiamo. Mi giro verso l’altro lato della strada, guardo verso una sorta di macelleria, so che F.L. è andata a comprare la carne.
Mi ritrovo sullo stesso marciapiede ma poco più in là del locale, accanto ad un alberello. Con me ora c’è F.L.. Le racconto di aver sognato il gattino di cui sopra, dicendole anche di aver appreso, nel sogno appena fatto, che il termine “barboncino” in origine era stato coniato per i gatti.

Le lavandaie

Sono per strada nei pressi del mio posto di lavoro. Molto probabilmente in pausa pranzo, perchè sto cercando di decidere in quale bar andare a mangiare. Quello più lontano non l’ho mai visitato. Decido di farlo e mi metto a correre altrimenti farò tardi. Ai piedi ho degli zoccoli di legno che rallentano la mia corsa. Decido quindi di tornare indietro per andare all’altro bar. Dopo poco mi giro verso il bar lontano e mi rimetto a correre per raggiungerlo. Noto che si trova nello stesso punto dove sorge un gommista. Quest’ultimo aspetto mi fa desistere e torno indietro per la seconda volta.

Mentre costeggio le mura dell’ufficio, almeno 10 volte più grande di quello reale, sento delle voci provenire da un seminterrato. I locali lavanderia. Mi affaccio furtivamente e dietro ad un paravento color bianco sporco ci sono una signora rossa e una ragazza mora. Stanno chiacchierando del più e del meno. Mi intrattengo fuori della finestra nella speranza che inizino a spogliarsi. Faccio avanti e indietro come per rinnovare il mio passaggio casuale nei pressi della finestra fino a che la signora rossa si cala i calzoni mostrandomi il suo splendido didietro.

Da un’altra finestra un tipo coi baffetti mi guarda insospettito e poco dopo iniziano a farlo anche le due tipe nell’altro locale.

Decido di allontanarmi.

Mi ritrovo all’interno di un palazzo, sul pianerottolo del primo piano. In una rientranza sta seduta la ragazza della lavanderia. Ha i capelli neri e lisci, la frangetta ed è vestita di verde. Mentre mi avvicino mi mostra accidentalmente il seno. È minuto ma perfetto.

Una volta vicino alla ragazza mi faccio coraggio e le chiedo se vuole prendere un caffè. Lei dice di no. Le faccio notare che è la prima volta in vita mia che chiedo ad una ragazza di offrirle un caffè ma questa cosa non fa altro che aumentare il suo disagio.

Dal corridoio alla mia destra arriva con passo affrettato il tipo coi baffetti. Non mi fa domande ma si ferma di fronte a me. Cerco di dimostrargli che non ho cattive intenzioni. Mi rivolgo alla ragazza nella speranza che possa fargli capire che sono in buona fede. Le dico “Digli cosa ti ho chiesto” e lei gli dice che le avevo solo chiesto di prendere un caffè. Di seguito aggiungo, in maniera sufficientemente seria, “Non sono un molestatore”. Questa mia ultima affermazione sembra aver sortito l’effetto desiderato e io e il tipo coi baffetti scendiamo al piano terra.

Mentre scendiamo mi dice che non tutti sono sinceri come me (o qualcosa del genere). Ci ritroviamo all’entrata del palazzo, di fronte al portone a vetri. Mentre chiacchieriamo noto, guardando attraverso il portone, un tipo con la maglietta verde scura sdraiato in mezzo ad un incrocio. I passanti lo snobbano. Mi preoccupo per lui ma subito dopo si alza e se ne va.
Mi accorgo di avere pantaloni e boxer abbassati e mentre cerco di ritirarmeli su mi scuso con baffetto. Ridiamo, anche perché i pantaloni sono molto stretti e faccio fatica ad allacciarli. Mentre sono ancora mezzo denudato, sempre guardando attraverso i vetri del portone, noto un mio collega che si avvicina al palazzo. Penso si tratti di F.C.. Cerco di affrettarmi a rivestirmi per non farmi vedere in quelle condizioni. Il tipo entra nel palazzo, non era un mio collega.

I DJ impediti, le amiche ballerine e l’orso bruno

Sono in un locale dove sta per iniziare una serata musicale in cui si esibiscono due DJ. Il posto è tutto in legno, tipo baita di montagna… Lo speaker annuncia il duo e mi avvicino alla consolle. I due si guardano e iniziano la routine. Dopo qualche scratch parte il beat e inizio a muovere la testa a tempo. “Niente male” penso. Ma dopo circa 30 secondi si fermano. Il tipo al campionatore, una sorta di MPC dal colore dorato, cerca di farlo suonare a dovere ma non ci riesce. Preme tasti a caso sperando di trovare la causa del malfunzionamento. Il pubblico non reclama, si dimostra comprensivo. Il DJ non sembra molto imbarazzato dal contrattempo. Niente da fare… Dopo vari e vani tentativi ci ritroviamo tutti a tavola a discutere dell’accaduto. C’è chi da la colpa al campionatore, chi al DJ e chi, come me, al cavo che collegava l’apparecchio al mixer. “I cavi si rompono facilmente” dico, “basta passarci sopra con la sedia e si rompono e non trasmettono più il segnale”. Quasi tutti sono d’accordo.
Mi ritrovo ad un tavolo con C.P. e un’altra ragazza che potrebbe essere I.B.
Beviamo dei cocktail.
Ad un tratto C.P. tira fuori un ombrello a strisce, di un colore tendente al giallo/arancione. È molto grande. Così grande che quando lo apre il suo corpo viene completamente coperto dall’ombrello. Poi nizia a ballare muovendolo in modo da creare una certa coreografia. Anche I.B. Inizia a fare la stessa cosa ma con dei pezzi di stoffa. Mi avvicino in fretta a loro con il cellulare in mano, voglio scattare delle foto. Sono vicinissimo a I.B. tanto che mi sfiora il viso con i pezzi di stoffa che sta facendo volteggiare. Mi rimane difficile mettere a fuoco. inoltre la luce è poca e le due ballerine si muovono veloci quindi penso che le foto verranno male. Ma con mia grande sorpresa un paio vengono abbastanza bene.
Mi ritrovo nel piazzale fuori il locale, è giorno, C.P. continua a ballare accanto al muro. Ridiamo parecchio. Nella mano dove avevo il cellulare ora ho una sorta di racchetta da ping pong con cui colpisco una pallina di gomma che rimbalza in continuazione sul muro davanti al quale sta ballando la mia amica. Passa un signore, dice qualcosa che non ricordo.
Sono al telefono con S.P., accanto a me i miei figli. Guardo verso un giardino in cui scorgo un orso bruno che cammina su due zampe. È enorme ma apparentemente innocuo. Intorno a lui passeggiano delle persone. Lo faccio notare ai miei figli, una lo vede l’altro se lo perde.

Profumo di donna e parassiti sottocutanei

Sono ad un pranzo insieme a molte altre persone. I tavoli sono quelli che si potrebbero trovare ad una sagra e sono disposti un po’ alla rinfusa.
Siedo accanto ad una ragazza mora vestita di nero. So bene chi sia anche se nel sogno la somiglianza non è del tutto fedele. Mi avvicino al suo collo ripetutamente e in maniera furtiva per annusarne il profumo. Dopo aver rubato per due o tre volte la dolce essenza dal suo collo, noto un’altra ragazza vestita completamente di bianco, mora anch’essa, dall’altro lato del tavolo, che mi fulmina con lo sguardo e mi manda a quel paese mimando un vaffa con la bocca.
In quel momento mi ritrovo seduto a capotavola, con la testa abbassata, rivolta verso il pavimento. Accavallo la gamba sinistra sulla destra e noto un piccolissimo puntino di grasso sulla caviglia. Inizio a grattarlo con l’unghia del dito indice della mano destra per cercare di asportarlo ma più gratto, più il puntino diventa grande… E quando ha raggiunto le dimensioni di qualche millimetro, inizia a muoversi, proprio come farebbe un piccolo vermetto bianco. Rendendomi conto di cosa stavo ospitando sotto la pelle della mia caviglia, afferro con le dita la piccola sporgenza bianca e soda e tiro con decisione, ritrovandomi in mano un verme di qualche centimetro. Sorprendentemente non sento alcun fastidio o dolore e la cosa mi rincuora anche perchè quando osservo meglio il buco lasciato dal verme noto che dentro ce ne sono altri più o meno lunghi. Ne afferro un altro e lo tiro fuori. E poi un altro ancora, e ancora. Nella mano ormai ho cinque o sei vermi di varie grandezze e sulla caviglia un buco di qualche centimetro, senza più parassiti al suo interno. Non noto molto sangue.
Mi alzo dal tavolo e cerco di svicolare tra gli altri, perdendo l’equilibrio un paio di volte. Ho ancora i vermi in mano, devo farli vedere a mia madre, l’unica persona che ho in mente che possa darmi consigli sul da farsi. Mi rendo conto subito dopo che non c’è più ma la cosa non mi butta giù più di tanto e penso che sono grande abbastanza per cavarmela da solo.
Esco di scena, ho in mano un filetto di pesce la cui consistenza della carne somiglia molto a quella dello sgombro in scatola. Lo sto ispezionando in cerca di altri vermi.

Il grande punto interrogativo

Sono per strada, in attesa dell’autobus. C’è una ragazza con i capelli lunghi. Penso che stia aspettando l’autobus anche lei.

Mi giro verso sinistra e al centro di un comprensorio di palazzi in cortina c’è un enorme punto interrogativo il cui gambo è formato da palazzine simili a quelle intorno il cui spessore è così ridotto da farmi pensare che possano crollare da un momento all’altro. La curva del punto interrogativo invece è fatta di fasce di metallo sovrapposte. E’ enorme…

Decido di circumnavigare il comprensorio per osservarlo meglio e per trovare una visuale ottimale affinchè possa scattare una foto. Prima di incamminarmi penso che ritroverò la ragazza dove l’ho alsciata. Purtroppo mentre effettuo il giro del comprensorio le varie visuali non mi soddisfano e finisco per ritrovarmi alla fermata dell’autobus. La ragazza non c’è più, peccato…