Arresti domiciliari

Sono in un piccolo negozio che ricorda lontanamente il garage di casa dei miei nonni. Il mio amico Lorenzo sta per terminare il suo ultimo giorno di lavoro da commesso prima di cambiare mestiere.

Un cliente di origine orientale entra nel negozio e comincia a fare domande. Lorenzo comincia a spiegargli in inglese che non capisce la sua lingua.

La tensione aumenta.

Il signore cinese comincia ad arrabbiarsi incredibilmente e a sferrare pugni e calci contro Lorenzo. Inizia un duro combattimento. Cerco di intervenire trascinando via il mio amico.

Uscito dal negozio, mi dirigo verso una piazza con una chiesa. Lungo le strade si affollano persone, bambini giocano davanti alla chiesa, signore anziane tornano dal mercato. Intanto la polizia mi sta cercando. Anche il cinese vuole vendicarsi dell’affronto subito.

Sono circondato.

Tolgo dalla mia bocca un involucro di gomma, simile ad un palloncino, nel quale risulterà essere contenuta un bomba.

La polizia mi arresta e mi condanna agli arresti domiciliari.

Rimango a lungo nel soggiorno di casa sdraiato per terra sopra ad un lenzuolo rosso. Una finestra dà sulla piazza ed una portafinestra permette il passaggio ad un piccolo balcone sul mare. Si sente il rumore delle onde, vedo il colore blu intenso delle acque. Le finestre sono aperte e c’è una leggera brezza estiva.

Sono però costretto a non muovermi per non destare sospetti. Mi accorgo che nell’angolo tra le pareti ed il soffitto c’è un incavo che percorre tutta la lunghezza della stanza dal quale fuoriescono punte di fucili puntati contro di me da numerosi poliziotti appostati dentro casa per controllarmi.

Rimango contratto a terra in compagnia di B. e di alcuni miei amici venuti a casa per sostenermi in questo difficile momento.

Delitto e castigo

Sono seduta sul sedile di dietro di una macchina e davanti ci sono un uomo e una donna che sembro conoscere. Stiamo guidando lungo viale Trastevere e poi giriamo a destra e la strada ci porta in un paesino. Scendiamo e suoniamo ad una porta. Ci aprono una donna con la figlia adolescente, noi chiediamo dove sia il marito, lei ci indica un posto poco lontano. Raggiungiamo il luogo, troviamo l’uomo e lo uccidiamo (mi sembra strangolandolo). Risaliamo in macchina in silenzio ma io sono disperata perché so che la polizia risalirà a noi tramite la moglie e dovrò passare il resto della vita in carcere e ho così buttato la mia vita.

Cambia scena, sono a Londra, Bea mi dice che devo tornare a lavorare nella nuova sede della galleria JJ/WC (dove ho lavorato davvero) e che lei già lavora lì da un po’. Sono incerta ma salgo sulla metro per andarci. Quando scendo chiedo indicazioni ad una signora ma parliamo in francesce invece che in inglese e poi mi rendo rendo conto che anche i nomi delle vie e le targhe delle macchine sono scritti in francese. Allora mi dispero e mi rendo conto di essermi addormentata sulla metro e di aver attraversato il tunnel della Manica senza accorgermene.