Il matrimonio di Mario Draghi

Vengo incaricata di organizzare il matrimonio di Mario Draghi in collaborazione con la sua ex che ha la mia età. Decidiamo di organizzare il ricevimento in una casa al mare con un grande giardino (la casa è quella che questa estate abbiamo preso in affitto al Circeo). Siamo molto indaffarate e ad un certo punto io mi ricordo che a roma ho un cane a casa di mia madre e  che quindi non posso restare al Circeo ma devo fare avanti e indietro per accudirlo. Chiedo a mamma se può portarlo a Velletri in campagna ma mi risponde che impossibile perché i cani lo aggredirebbero. Mi rendo conto che sto lavorando male all’organizzazione, c’è tanta gente e tanta confusione ma non sono preoccupato. Ad un certo punto nella casa al Circeo vedo una porta aperta nel corridoio e capito che il cane, che non so come è ormai li in casa con me, è uscito in giro per il ricevimento lasciando scodella con acqua e croccantini…

Il pesce con le manine

Campagna, casolare, lieve discesa che porta ad un fiumiciattolo. So che ha piovuto parecchio quindi non mi stupisco di trovarlo gonfio d’acqua. Anzi, ne sono contento, anche perchè più acqua c’è più pesci ci sono. Ed infatti di lì a poco vedo sfrecciarne uno di dimensioni ragguardevoli da una parte all’altra del corso d’acqua. “E’ uno storione!” grido… Mi brillano gli occhi e so che sarà un gioco da ragazzi catturarlo. Il paesaggio è molto bello, l’acqua del fiume è di un colore fantastico, con le tipiche sfumature azzurrine che si possono notare nei paesaggi artici ghiacciati. L’aria è fresca e le chiome degli alberi lasciano filtrare qulche raggio di sole. Mentre mi godo il paesaggio inizio a vedere con la coda dell’occhio delle cose a mezz’aria… sono pesci che volano… No… saltano per l’esattezza, a formare delle parabole. La cosa in sè non mi stupisce più di tanto. Quello che mi lascia un po’ perplesso è invece la presenza, sui fianchi delle bestiole, di due piccole manine blu del tipo di quelle che si trovano nelle patatine, che lanci al muro e si appiccicano… Ad ogni modo… ad un certo punto uno di questi pescioni, durante la fase discendente della sua bella parabola, mi si appiccica addosso. L’impatto è abbastanza forte. Abbasso lo sguardo e noto che sta ciucciando la mia pelle con una protuberanza fina fina che gli parte dalla bocca… Non provo alcun fastidio o dolore. La cosa mi incuriosisce e decido di fargli una foto col telefonino per farlo vedere al mio compagno di pesca R.T.. Il pesce è ora sul mio braccio sinistro che metto prontamente nella posizione più adatta affinchè riesca a ritrarre l’intero animale. A voler essere precisi, il braccio è nella calssica posizione di chi vuole dare un’occhiata al proprio orologio per sapere che ore sono. Scatto la foto ma quando la vado a vedere noto che è notevolmente diversa da come sarebbe dovuta essere. Nella foto infatti mi trovo in una sorta di laboratorio di chimica con i tipici banconi pieni di strumenti e provette e il pesce si vede malissimo… vorrei scattarne un’altra ma il pesce se n’è andato…
Mi giro di nuovo verso il fiume e sulla sinistra scorgo lamia bella macchina nuova. E’ leggermente infangata ma non me ne curo. Decido però di spostarla e noto che è posizionata veramente troppo vicino all’acqua. Quando mi sposto dal lato del conducente, prima di aprire lo sportello noto la presenza di parecchia gente che sta popolando le azzurrine acque. La mia attenzione si sofferma in particolar modo su tre bambini che stanno sguazzando felici. Uno di loro, un maschietto con i capelli rasati, tiene in mano una canna da pesca veramente troppo corta e lancia in continuazione l’esca al centro del fiume. Un attimo dopo me li ritrovo di fronte. Uno di loro è ricoperto di peluria dello stesso colore blu dei pesci con l’aggiunta di alcune strisciate verdine…

La visita medica

Sono alla ricerca del centro estetico Ansuini di cui mi hanno parlato molto bene. Passeggio per le strade di una città qualsiasi cercando di raggiungerlo seguendo le indicazioni che mi sono state date poco prima. Arrivo alla fine della strada dove si trova una grande scalinata sul cui lato sinistro sono presenti negozi di vario genere. Inizio a scendere i gradini con lo sguardo rivolto alla mia sinistra certo che da un momento all’altro individuerò il famigerato centro estetico… Passo di fronte alla vetrina di un negozio piccolo piccolo in cui c’è solamente un letto matrimoniale sul quale giace assonnato il commesso. Indossa solamente dei boxer neri e nelle orecchie ha un paio di auricolari collegati ad una presa audio posta sulla testiera del letto, la quale è fatta di assi di legno molto scuro… Mi piace. La posa del tipo non è delle più comode… E’ sdraiato di schiena ma solo per metà, dal busto ai fianchi. Le gambe sono leggermente piegate e poggiate di lato. Il braccio sinistro steso dietro la testa.

Continuo la passeggiata e arrivo in fondo alla scalinata. Molto probabilmente mi trovo su Via Tuscolana, all’altezza di Santa Maria Ausiliatrice. Passo di fronte a dove una volta sorgeva il negozio di abbigliamento “Conestoga”. Al suo posto ora una sorta di centro sportivo. Al suo interno scorgo una persona che conosco e mi fermo, sul marciapiede, davanti al grande cancello scorrevole che è aperto. È P., la mia ex… Si trova su un terrazzino rialzato. La saluto con la mano ma non mi nota. Lo faccio di nuovo ma niente… Al terzo o quarto saluto, quando ormai me ne sto per andare riflettendo su quanto sia tuttora rincoglionita, mi nota… Stupita di avermi rivisto mi dice, da lontano, “Madò come sei giovane!”. Dal momento che non riesco a capire se ha o meno intenzione di venirmi a salutare riprendo a camminare. Dopo qualche passo mi volto indietro e la vedo sul marciapiede ma tiro dritto in quanto non ho tutto sto interesse ad intrattenermi con lei e poi ho un appuntamento per una visita medica e sto facendo tardi.

Arrivo nel posto in cui dovrei fare sta visita. L’entrata è tipo una baita di montagna, di quelle che si vedono nei campi scout dei film. Qualsiasi cosa vedi è fatta di legno… Entro e mi ritrovo in quello che potrebbe sembrare un campeggio. Cerco il gabbiotto delle accettazioni. Lo vedo in lontananza e c’è una fila di persone che fa paura. Mi prende così male che decido che quello è il bar dell’ospedale, di cui non ho bisogno. Problema risolto.
Non ricordo bene che tipo di visita devo fare e tanto meno che disturbo abbia ma mi ritrovo a girare per questa enorme e vasta pineta in cerca del tragitto che mi porti al reparto di cui ho bisogno. In effetti tra gli altissimi pini si diramano dei sentieri, ognuno dei quali conduce ad una differente parte dell’ospedale (se così possiamo chiamarlo). All’inizio di ogni sentiero, sul tronco dell’albero, c’è una targhetta con su scritta la specializzazione del reparto a cui si arriverà se si imboccherà quel percorso. Decido di avvicinarmi ad un sentiero in particolare, se non altro per vedere dove porti, ma vengo rallentato da una serie di rami intrecciati l’uno con l’altro. Mi ritrovo incastrato. Con me altre persone, indecise anche loro sul da farsi. Ci lamentiamo della penosità del servizio sanitario.

Mi volto verso il baretto e noto con piacere che la lunghissima fila si è ridotta notevolmente. Ci sono infatti solamente tre o quattro persone. Decido di raggiungerlo per fare sta benedetta accettazione, nonostante sia ancora convinto che sia un baretto… Arrivato di fronte al bancone chiedo una bottiglietta d’acqua e comunico alla signora che mi sta servendo il motivo per il quale mi trovo lì così da poter ricevere qualche informazione utile a capire quale sentiero intraprendere.

Dalla breve chiacchierata salta fuori che sto lì per questioni respiratorie e vengo quindi indirizzato al relativo reparto. Arrivato lì mi ritrovo in sala di attesa insieme a una marea di altre persone. Mi viene assegnato un attrezzo inquietante che devo indossare per non perdere il turno… Assomiglia molto all’imbracatura usata dagli operatori di Steadicam dalla quale spunta un’asta di plastica nera che mi arriva poco sotto il mento alla cui sommità si trova una lampadina rossa. Non era meglio un semplice numeretto??

Matrimoni improbabili

Mi trovo sul lungomare di Ostia, in un macchina color lilla o azzurro sbiadito. Sto cercando parcheggio. Insieme a me c’è Memme. Stiamo andando al matrimonio di C. D.. Trovo un posto e inizio la manovra ma ben presto mi rendo conto che non posso parcheggiare lì. Mi ritrovo nel luogo in cui sta per essere celebrato il matrimonio. E’ composto da un insieme di casolari tra i quali ci sono delle strade sterrate. Entro in una sorta di anticamera piena di colonne a sezione quadrata collegate l’una all’altra da archi. Quando intravedo la porta della stanza dove sarà celebrata la funzione mi rendo conto che è già iniziata… Attraverso la porta scorgo quello che penso sia lo sposo, che ora è A.E. ma mi rendo conto che è solo uno dei tanti invitati. Sta in piedi con le mani unite all’altezza del ventre. E’ molto attento e concentrato. Indossa un completo grigio scuro. Sulle sue labbra un impercettibile sorriso. All’improvviso mi ricordo che nello stesso momento e luogo si sposerà anche mia sorella V., con chi non si sa. Nonostante sia cosciente del fatto che nessuno riuscirà ad ascoltarmi, mi scuso del contrattempo e mi dirigo di fretta all’altro matrimonio.

Quando arrivo riconosco la maggiorparte degli invitati. Parenti per lo più. Anche io indosso un completo grigio scuro. Mi fermo in piedi in posizione molto arretrata rispetto alla sposa e cerco di intravedere una cugina in particolare, M.N.. ma non la trovo. Qualcuno mi fa notare che sono arrivato in ritardo dicendomi qualcosa del tipo “Sei sempre arrivato in ritardo”. Io non posso fare altro che confermare, rispondendo che nella vita, in effetti, ho sempre preso le decisioni in ritardo. Mi giro un attimo e scambio due parole di numero con una parente in cui però riconosco una collega. Presto attenzione alle prime file e vedo mia sorella alzarsi. Scosto un po’ la testa per cercare di capire chi diavolo sia lo sposo ma non riesco a vederlo. Mia sorella sembra essere serena e contenta. Esco.

Percorro una di quelle strade sterrate, tipiche dei casolari di campagna. E’ ricoperta da erba alta quasi come me ma riesco ad attraversarla con scioltezza e agilità, anche grazie al completo grigio scuro… Non so bene dove mi sto dirigendo ma mi ritrovo ad un altro matrimonio… Questa volta è la sorella di A.E che si sposa, G.E.. E’ alquanto diversa da come la ricordavo ma la riconosco ed inizio a parlarci. Ci fermiamo accanto ad un tavolo pieno di tartine di tutti i tipi. Durante la chiacchierata mi fa capire che il precedente matrimonio non ha funzionato e mi confida di aver scoperto di essere lesbica. La notizia mi lascia un po’ perplesso e tutto quello che riesco a dirle è: “Ma come, mi ricordo che eri così caruccia…”. Mentre mi parla vengo distratto dal suo naso che è molto appuntito rispetto alla realtà. Mi piace molto. Poco dopo capisco che la donna vestita di bianco sporco che si aggira nella stanza è la sua nuova compagna. E’ bionda e paffutella. La ritrovo in piedi su un tavolo enorme, posizionato al centro della stanza. C’è sicuramente della musica e l’illuminazione è un miscuglio di luci colorate tipico di una discoteca. La tipa è di spalle ripetto a me. Indossa una camicia rossa e un paio di leggings neri. Da lontano, attraverso le sue gambe divaricate riesco ad intravedere un potente getto d’acqua. Subito dopo realizzo che, da sopra il tavolo, sta facendo pipì sul pavimento, come un uomo e in maniera molto goliardica. Finito il poderoso scroscio si gira e mostra soddisfatta a tutti una bottiglia di plastica trasparente senza etichetta per farci capire che la stava usando per mimare la minzione. Tutti rimangono divertiti, io no. La performance continua. Altre bottiglie, altri liquidi, colorati e non, che vanno a finire in un vascone posto ai piedi del tavolo. Mi chiedo cosa ci sia al suo interno ma non riesco ad avvicinarmi per controllare.

Mia sorella M. ha subito una non ben identificata operazione (forse al viso) e mi sta cercando tra le corsie di un ospedale dalle pareti verde bottiglia e illuminato malissimo, per farmi vedere i risultati. Io non ne voglio sapere niente e cerco di sfuggirle ad ogni costo. Me la ritrovo su un lettino dotato di ruote che mi punta dal fondo di un corridoio. Mi dice qualcosa che non comprendo ma il suo atteggiamento è chiaramente scherzoso. Mi chiedo come faccia a far muovere il lettino standoci solamente sdraiata sopra. Indossa un costume nero a due pezzi.

Sto di nuovo percorrendo la strada sterrata tra i casolari ma questa volta indosso dei pantaloncini corti e una maglietta. Insieme a me vari invitati dei vari matrimoni. Questa volta, a causa dell’abbigliamento, faccio fatica ad attraversare l’erba alta, a cui si è aggiunta, tanto per facilitare l’impresa, dell’ortica gigante. Mi muovo con attenzione, cercando di scostare l’erba urticante. Lancio una scarpa da ginnastica grigia nell’erba per dimostrare qualcosa (non ricordo bene cosa) alle persone che sono lì con me. La strada in questione è leggermente in salita e quando raggiungo la sommità mi ritrovo, alla mia sinistra, uno slargo in terra marrone scuro dove ci sono altre persone.

Mi sveglio con un senso di insoddisfazione legato al fatto di non essere riuscito a capire cosa ci fosse nel vascone ai piedi del tavolo.

La crisalide

Ero una bambina  quando feci questo sogno.

Schiamazzi e grida giocose aleggiano nell’aria, mi ritrovo in mezzo ad un gruppo di bambini, radunato intorno ad un buco dove iniziano delle scale a chiocciola che scendono verso il sottosuolo. Incuriosito uno dei ragazzini dice “Andiamo a vedere che c’è lì sotto!” . Inizia così questa lunga discesa, si forma fila indiana e l’unica cosa che si sente sono i passi leggeri di piedini che scendono i gradini arrugginiti.  Arriviamo nelle fogne, c’è talmente tanta umidità che le pareti e il pavimento sono ricoperti da un velo sottile di acqua. Decidiamo di dividerci per scoprire cosa nasconda questo labirinto umido e fetido. Io ed una mia amica iniziamo a camminare verso un tunnel, ad un tratto nello svoltare ci troviamo davanti agli occhi un’immensa crisalide verde fluorescente . La paura si fece più forte, quando guardandola meglio mi vidi lì dentro. Ero pallida, occhi chiusi, bocca livida e mani incrociate. Sembravo morta. A quella visione fuggimmo.  Decisi di tornare il giorno dopo, sola però questa volta. Scesi quei gradini pericolanti, arrivata alla fine vidi quella creatura che il giorno prima era dormiente in quella specie di bozzolo, ora era seduta a terra con le gambe divaricate  intenta a giocare con dei dadi. La paura mi pietrificò, in quell’istante lei/io mi guardò e mi chiese “Vuoi giocare con me?”… Con il terrore in corpo scappai di nuovo.

I piccioni subacquei

Sono in un parco, nella sua mattonata e grigia piazza centrale. Intorno a me un po’ di gente, delle panchine e un ponte al quale mi accingo ad affacciarmi. Sotto c’è un laghetto le cui acque, tendenti al verde smeraldo, sono così trasparenti da permettermi di vederne il fondo. Sott’acqua una quindicina di piccioni grigi sguazzano felici e frenetici cercando di rubarsi a vicenda le briciole di pane cadute in acqua.
Proprio mentre mi interrogo sul come dei piccioni riescano a vivere sott’acqua ne scorgo uno morto sul fondo. Sotto di lui un’altro piccione cerca di spingerlo verso l’alto aiutandosi col becco ma non ce la fa e rischia a sua volta di morire affogato.
Quindi desiste e cerca di tornare in superficie con non poche difficoltà. Al primo tentativo sfiora la superficie ma torna inesorabilmente giù. Mi guarda, lo incoraggio. Ha cambiato dimensioni, colore e anche forma. Ora infatti assomiglia più a un delfino bianco. Prova di nuovo a risalire e grazie ai miei esortamenti accorati supera il confine acquatico e si allontana in volo. Sorridendo lo seguo con lo sguardo.

La grande onda

Sono in una boutique molto particolare, presumibilmente in un posto di mare. Sono con mia sorella e F. per cercare un gioco da regalare a mia figlia. Il negozietto è pieno di giochi “di una volta”, fatti in legno, molto semplici, del tipo dama cinese per intenderci.

Mi allontano dal reparto giochi per andare nella saletta dedicata agli oggetti di arredamento. Lampade variopinte su comodini sono in bella mostra e una finestra aperta adornata con tende colorate semi trasparenti lascia entrare un’aria e della luce molto piacevoli.

Torno al reparto giocattoli e vedo S. che ha appena comprato, per suo figlio, un dinosauro (piu o meno) in legno da costruire. Noto ben distintamente due asticelle di legno che per me sono le zampe. In effetti subito dopo noto all’estremità di esse una forma ovale di gomma traslucida e dico che sono le rotule.

Poco dopo mi ritrovo a raccogliere da terra svariati piccoli pezzi di non so bene cosa. Tra queste cose che raccolgo ci sono anche delle viti ed alcune di esse, essendosi mischiate con la sporcizia che stava sul pavimento in cemento, vengono individuate e tirate su a fatica anche perchè ho gia le mani piene di roba e non c’e’ piu posto per altre cose, seppur della dimensione di una piccola vite. Nel frattempo se ne sono andati tutti e con molta fatica, finito di raccogliere anche l’ultima vite, li raggiungo di fuori.

Mi ritrovo su una spiaggia, lontano da S. e mentre cerco di raggiungerlo con passo normale noto che il mare è mosso. Nello stesso istante in cui penso che sia perfetto per la pesca a surf casting le onde si ingrossano a dismisura raggiungendomi quando, sempre con le mani piene di roba, avevo quasi raggiunto il mio amico (che si trovava su un rialzo naturale al riparo dalle onde). Una prima onda mi avvolge la vita, “neanche troppo violenta” penso… quando arriva una seconda onda alta il triplo di quella precedente ed io, prontamente, mi immergo in acqua per subire meno l’impatto.

Mi sveglio

La Lambretta verde e la Vespa rossa

Sto guidando una Lambretta colore verde acqua; dietro di me c’è T.D.

Al semaforo dell’incrocio tra viale Regina Margherita e via Salaria si affiancano a noi due ragazze su di una Vespetta 50 di colore rosso. Appena arriva il verde partiamo in maniera bizzarra, sfrizionando un po’, nella speranza che le due ragazze ci notino. A metà dell’incrocio però  il filo dell’acceleratore della nostra Lambretta si rompe. Anche le due ragazze sembrano avere problemi con la loro Vespa che improvvisamente si ferma accanto al nostro veicolo.

Accostiamo al bordo della strada.

Io e T.D. ci diamo da fare per sistemare il nostro mezzo e quello delle ragazze.

Inclino la Lambretta ricordandomi di ciò che tanto tempo fa mi ha insegnato mio padre. Giro, quindi, di 180 gradi la levetta della benzina prima di cominciare a lavorare affinché il motore non si ingolfi durante la riparazione.

Rivolto completamente la Lambretta guardandone l’interno dalla parte bassa. Mi accorgo che quella non è la posizione migliore. Inclino allora  in modo leggero lo scooter e comincio ad aggiustarlo smontando le  “chiappe” o “pance” laterali. Smonto quella di sinistra e non trovo il cavo dell’acceleratore; smonto quella di destra e mi accorgo che il cavo, totalmente diverso da un cavo reale, è nero e di plastica e si è staccato dal suo consueto alloggiamento.

Aggiusto con facilità la Lambretta mentre T.D. si occupa della candela della Vespa rossa. Io e T.D. facciamo ipotesi sul malfunzionamento della Vespa utilizzando cacciaviti che le ragazze conservavano all’interno del vano sottosella.

Nel sogno compare improvvisamente Cico che sembra avere bisogno di un aiuto, quasi servisse anche a lui una revisione di alcune parti anatomiche. Smonto così due tappini di plastica che si trovano sulle sue spalle, esattamente all’alltezza di due nei che ho da quando sono nato. Uno dei tappini contiene un po’ di terra. Pulisco e risistemo le parti in plastica trasparente poste sulle spalle di Cico.

Io e T.D. siamo soddisfatti delle capacità acquisite nel tempo di aggiustare e sistemare veicoli a motore e parti del corpo.